Perché sono i tuoi, i tuoi studenti tra Pasolini e Moccia.
Ore otto, ore quindici.
Vai loro incontro felice. Sono venti e venti e ancora venti ragazzi implosi di passione rosso fuoco, non importa se troppo tardi o troppo presto rispetto ai convenzionali tempi di formazione. Sono lì, a tessere i sogni vagheggiati nei giochi di bimbi a cotonare e decorare il futuro.
Sono i tuoi nuovi studenti.
Ai buongiorno e buonasera quaranta e quaranta e ancora quaranta occhi erotici sezionano e perlustrano ogni cellula del tuo corpo, ogni movenza, ogni accento. Con un balzo felino a ritroso sei seduta lì, insieme a loro, a ricordare che anche la matematica aveva una metrica seducente ma non la capivi ugualmente.
L’indifferenza del cuore raggela la mente, le parole diventano suoni a tratti molesti, “un’ altro” non perderà l’apostrofo e imparare la matematica sarà stata un’occasione persa.
Vuoi sapere cosa c’è in quel luogo recondito di vie corrose dall’incuria e dal disamore, nei loro giardini incolti e abbuffati di erbacce e lattine accartocciate, di miti prigionieri di vita e di sale, di storie troppo giovani per vivere già di disincanti e abbandoni.
Perché sono i tuoi, i tuoi studenti tra Pasolini e Moccia, fiori di cui ancorare le radici nelle sabbie mobili di questi tempi ruvidi e malviventi.
Vuoi dare loro ogni passo che ti è servito per capire e per difenderti, ogni voce che ha acceso il tuo sguardo, ogni gemito di stupore e prodigi ammalianti, l’impazienza e l’indugio, la noia e la meraviglia dell’attesa.
E’ un movimento lento insegnare, devi sostare anche a lungo sulla loro soglia e aspettare che ti aprano, un intreccio da costruire indissolubilmente insieme, mano per la mano e per il cuore della mente; misurare parole e gesti di responsabilità futura, farti accudire dal dubbio e dal sentimento di equanimità.
Ore tredici, ore diciannove.
I loro sogni erano già i miei.