CANE

Qui il futuro quando una volta è venuto in vacanza si è rovinato la vita.

 

Vedi, caro Ettore, che bella coda che hai? È la protesi della tua felicità. È un marchingegno sofisticato che controlla ciò che accade alle tue spalle, come una telecamera posteriore, ma che sa battere anche il ritmo dei tuoi sorrisi. Sei troppo avanti per noi umani. Non hai il fardello del passato. Non hai lo sguardo verso il futuro. Solo che il futuro sta arrivando a passi da gigante: non possiamo permetterci il lusso di accoglierlo impreparati. Non abbaiare alla luna: è lontana e non ti sente. La luce che si porta addosso è quella del sole. Lasciali perdere i folletti di vetro che ti spiano davanti, che ti ridono dietro. Quelli sono folletti dei poeti. Dei cantastorie. Dimmi piuttosto che cosa vedi tu, quando guardi lo spazio vuoto con gli occhi incuriositi come se ci fosse una ballerina scatenata che volteggia lieve e austera. Dimmi se vedi meglio di me quando rimani impassibile e fiero davanti a un bassotto che ti scodinzola o quando ti accovacci spalmato e diventi tappeto di pelo speranzoso mentre una cagnetta ti sorride da lontano. Come fai a stare in pieno dentro il presente?

Il futuro che mi immagino non lo vuoi conoscere. Ti importa solo l’accesso ai croccantini vietati.  Anche se penso che la furbizia sia argomento che maneggiano meglio i gatti. Io, per come la vedo, posso dirti soltanto che quando il futuro arriverà lo accoglierò come si accolgono gli amici che non vedi da tanto. Gli farò le feste come fai tu quando rientro dopo qualche ora di assenza e fai in modo che sembri un anno. Il futuro che mi aspetto non sarà qui. Qui il futuro avrà porte chiuse in faccia e niente cani festosi e volteggianti. Qui il futuro quando una volta è venuto in vacanza si è rovinato la vita. Ha scommesso contro il passato e ha perso in malo modo. Il futuro è lontano da qui. Lontanissimo. Questo è il posto delle nonne e della nostalgia. Questo è il posto che ospita i nostri morti. Qui abita la lingua prima della grammatica. La  lingua che usa “sdinga” perché proverebbe vergogna a dire “stucchevole”. Qui è terra antica. Polveriera dei sogni. Qui se abbai alla luna magari ti risponde dio. Qui è di fronte a Trinacria, terra di cannoli che ha inventato un principe disilluso e solo. Quel Fabrizio di Salina che uccise il verbo “cambiare” e rese immortale la decadenza. Ma qui non è un'ampolla di esperimenti. Né una pozione di speranze. Qui è acqua sporca. Quando c'è. E gli scienziati sono solo poveri pazzi. Se tutto cambia, cambia per rimanere com'era.

Stai giù. Ecco il tuo boccone. Da bravo. Piano. Non mordermi per eccesso di affetto. Mi sembri la reincarnazione di un pazzo. Forse per questo mi stai così simpatico. Gli esseri umani si sono intrippati con le competenze. Con i verbali. Con i documenti. Hanno sempre troppo poco tempo. Così al futuro nemmeno badano più. Coraggio, Ettore, piccolo eroe perdente, coraggio. Aiutali, gli umani! Insegna loro l'istinto, lo slancio e il senso dell'olfatto. Insegna loro la curiosità dei tuoi occhi come nocciole interroganti. Insegna loro la fiducia e il perdono. E i rimedi del presente.

Mangia. Ti porterò in un posto dove tutti corrono come te, in cerca della felicità.  Quello sì che sarà futuro. Faremo così. Correremo veloci  e la notte sarà meno buia. E i sogni ti porteranno folletti di vetro e uomini meno tristi. Lo so. Siamo sempre affaccendati a fare cose. A che serve? A niente. Ma temo che il futuro di noi umani abbia i giorni contati.

Ci siamo scelti, caro Ettore, per un mio eccesso di misantropia. Entrambi abbiamo il nostro tornaconto quotidiano di coccole e croccantini. Il futuro che mi immagino per noi è così diverso da questo presente. Sogniamo polveriere di pace. Le mie preghiere buddiste ti lasciano perplesso. Mi guardi come per domandarmi se ci credo davvero. Eppure la tua non violenza è più buddista della mia.

Il futuro è leggero. I fardelli del passato non sono ammessi al check-in. Imbarchiamoci sapendo che è un  viaggio di sola andata. Imbarchiamoci sapendo che non siamo proprietari di niente e di nessuno. Il mondo che abitiamo è un contratto privato (nel senso di non pubblico) di affetto. Non di affitto. Soltanto che la controparte non la conosciamo. Le preghiere sono parole che forzano la  cassaforte del reale. Tu lo sai bene. Infatti quando abbai mi confondi la testa come per portarmi di là. Ma io sono un uomo  e non possiedo il  misticismo di un baubau. Resto dentro il mondo di qua perché il reale che mi annoia è lo stesso che mi protegge.

Le coccole ci salvano. Insieme faremo grandi cose. Grazie alla tua magnifica dentatura potremo distruggere le scartoffie che odiamo. Il futuro senza scartoffie è più facile che lo veda tu. Noi umani abbiamo quel debito contratto con la Storia che per nulla al mondo potremmo eludere. Se chiudi gli occhi, mio dolce quadrupede, ti racconto il ricordo degli uomini. Un ricordo tragico come quello di ogni 27 gennaio. Appena avrò finito ti sentirai un fardello che ti rallenterà il passo. Ti annebbierà la mente e ti verranno i lucciconi agli occhi. Ma lo farò lo stesso. Le parole sono parabole. Le parabole sono simboli urlati. Non ti resta che abbaiare per trasformare la Storia in guaiti di nostalgia. Non ti mordere la coda. Non tirare il guinzaglio. Non annusare per ore. Non saltare addosso alle nonne. Non mostrare i denti ai maschi dominanti. Non correre troppo. Non svegliarmi all'alba con troppi baci. Non attorcigliarti fino a farti un cerchio di peluria. Non stare sul chi va là davanti alla porta. Non bere troppo rumorosamente. Ecco: siamo uomini pieni di leggi e di divieti. Aiutaci a essere nobili d'animo. A essere fedeli. A stare dentro al presente. Ti insegnerò a guardare il futuro se mi darai una mano a vivere il qui e ora.