Si narra di una città posta in un angolo incantevole della Terra...
Acquappesa, Acquafondata, Acquaformosa, Acquafredda, Acquanegra Cremonese, Acquapendente, Acquarica del Capo, Acquaro, Acquarossa, Acquasanta Terme, Acquasparta, Acquaviva, Acquaviva Collecroce, Acquaviva d’Isernia, Acquaviva delle Fonti, Acquaviva Picena…
Senzacqua.
A quel tempo, erano molti i toponimi che contenevano l’acqua, in Italia. Ciò è facilmente comprensibile, dato che questo è uno degli elementi fondamentali per la vita dell’Uomo, nel Bel Paese come a qualsiai latitudine del globo.
Ma è l’ultimo della lista di questi nomi di luoghi a destare ancora oggi, a distanza di tanti anni, molta curiosità.
Si narra, a tal proposito, di una città posta in un angolo incantevole della Terra, limitata da un lato da un bellissimo braccio di mare con davanti un’isola, che nelle ore notturne offriva uno spettacolo di luci e colori incomparabile, e alle spalle, a pochi chilometri di distanza, le montagne bianche di neve in inverno e verdi di boscaglia nelle altre stagioni.
Il suo nome precedente, nonostante le approfondite ricerche effettuate, rimane ignoto, avvolto nel mistero. L’unica cosa certa è che quel luogo ameno era stato in precedenza abitato, e da qualche millennio, da popoli provenienti da ogni parte del mondo antico, il che ne aveva fatto uno scrigno colmo di tesori di inestimabile valore. Scavandone il terreno, era possibile imbattersi nei resti di numerose civiltà sistemati a strati sotto la pavimentazione stradale tanto che, illo tempore, non era raro incappare in buche profondissime provocate, sembra, da locali archeloghi dilettanti in cerca delle loro antiche vestigia.
L’origine della nuova denominazione, tuttavia, non è più avvolta nelle nebbie come la precedente, grazie ad alcune tavolozze recentemente venute fortuitamente alla luce nelle quali viene raccontata la storia di quegli anni.
Purtroppo, le parti scritte hanno subito gli insulti del tempo trascorso più delle illustrazioni che le corredano, e risultano perciò di problematica interpretazione. Tuttavia, l’opera di restauro eseguita sui dipinti ha consentito di gettare un fascio di luce sulla vicenda e di formulare un’ipotesi estremamente attendibile.
In una tavolozza, sono distinguibili migliaia di persone - uomini, donne, bambini, vecchi – che si tuffano in mare; gli esperti hanno appurato, studiando a fondo la rappresentazione, che i volti dei protagonisti non hanno tuttavia l’espressione gioiosa caratteristica di chi, in una tipica giornata estiva, cerca refrigerio nelle dolci e fresche acque marine. In effetti, l’ambientazione suggerisce che ci si trovasse in pieno inverno, e il numero delle persone smentisce che si potesse trattare del rituale tuffo di capodanno in voga in quegli anni. La tavola successiva chiarisce ulteriormente le circostanze : essa mostra la folla intenta a industriarsi con spugne e saponi col tipico atteggiamento di chi sta procedendo alle pulizie corporali.
In un altro dipinto è chiaramente visibile un personaggio, col petto attraversato da una fascia tricolore, perfettamente vestito, lindo, recante una folta capigliatura appena lavata e ben ravviata, che si sbraccia, badando a non stropicciarsi l’abbigliamento e a non arruffarsi la chioma, per tenere a bada la folla inferocita che ha come primo obiettivo proprio quello di spettinargli i capelli.
Grazie a queste e altre raffigurazioni, gli studiosi, supportati da altra documentazione, hanno potuto formulare l’attendibile ipotesi della quale dicevamo sopra circa le ragioni del cambio di denominazione della città e l’origine di essa.
Eletto da qualche tempo alla guida della comunità, S.E. Calderaio aveva accentuato l’ossessione per la sua chioma, della quale solo i più stretti collaboratori erano a conoscenza. E mentre prima del cimento a capo della città si era limitato a curarla con lavaggio e stiratura solo per due o tre volte al giorno, dal momento in cui la sua visibilità era aumentata aveva via via accresciuto a dismisura gli interventi quotidiani al crine, tanto che, prevedendo ciò che poi era effettivamente successo, si era prodigato per ultimare i lavori per una diga che avrebbe dato alla cittadinanza quantità adeguate del “prezioso liquido”. Ma, come in molti altri casi, alle parole non erano seguiti i fatti, per cui l’afflusso di acqua verso la città non era cresciuto di un solo millilitro, mentre i consumi si erano moltiplicati in maniera esponenziale, generando sempre più di sovente crisi idriche in molte zone dell’abitato.
In pochi anni la città intera si ritrovò senz’acqua, mentre S.E., munitosi di una condotta diretta e autonoma che dalle fonti arrivava direttamente alla sua stanza da bagno personale, consumava ettolitri pro die per fare del proprio corpo e, soprattutto, dei propri capelli, un esempio mondiale di cura e pulizia. Non di rado, egli sceglieva di solcare le strade cittadine a bordo della sua vettura coi capelli al vento, capelli oramai tanto lunghi e lisci da lasciare uno strascico di un centinaio di metri.
Ma fu durante una di queste escursioni che un popolano, dall’aspetto sporco e trasandato come tutti i suoi concittadini, trovò il coraggio di saltare a piè pari sullo strascico di capelli, staccandoli letteralmente dalla testa di S.E. Calderaio, dando la stura alla rivolta.
In poco tempo, S.E. fu destituito e condannato a tenere la testa rapata per vent’anni, e l’acqua tornò a scorrere dai rubinetti nelle case.
Ma il popolo decise, all’unanimità dei propri rappresentanti, di adottare per la propria città il toponimo di Senzacqua: a futura memoria, per scongiurare il rischio che la chioma di uno riducesse alla sporcizia il resto della cittadinanza.
Illustrazione Fontamara di R. Guttuso