I libri assolvono una funzione terapeutica, giacché rivelano, confortano, leniscono, allietano, divertono o semplicemente rendono comprensibile ciò che a volte nelle nostre esistenze rimane inespresso e sottaciuto.
Da piccoli, quando ci si approccia alle storie, spesso la scelta ricade sulle fiabe classiche: Cenerentola, Pinocchio, Peter Pan e tanti altri.
Ciò che affascina i bambini divenuti adulti, è la forza evocativa delle narrazioni a tratti ipnotica. Grazie alle esperienze e alle avventure, era facile immaginarsi eroi pronti ad affrontare le sfide quotidiane.
Le suggestioni che scaturivano da bambini corrispondono ai desideri da adulti, tra cui la ricerca della felicità, gli ultimi saranno i primi, bisogna rimboccarsi le maniche ogni giorno per scrollarsi le ceneri di dosso, le bugie hanno le gambe corte e solo chi sogna può volare.
I libri assolvono una funzione terapeutica, giacché rivelano, confortano, leniscono, allietano, divertono o semplicemente rendono comprensibile ciò che a volte nelle nostre esistenze rimane inespresso e sottaciuto.
Ebbene, chi scrive ha una responsabilità verso chi legge, deve rivolgersi al lettore identificandolo con un bambino. Ha il dovere di preservarne l’innocenza, intesa come autenticità della scrittura, veicolando la verità del messaggio, mantenendo umiltà ed evitando autoreferenzialismi. Ci sono esempi d’ intellettuali che ne hanno discusso.
Mi riferisco ad esempio a Cechov, lo scrittore russo che alla fine dell’Ottocento col suo “Senza trama e senza lettura, 99 consigli di scrittura” in poco più di cinquanta pagine ha fornito suggerimenti pratici sulla costruzione dei personaggi, ma soprattutto ha analizzato il rapporto dell’autore con la verità e l’onestà intellettuale.
C’è l’esempio di Sarte che ha raccolto le sue riflessioni in un testo, esattamente intitolato “La responsabilità dello scrittore”, scritto nel 1946 in occasione della prima riunione dell’Unesco: “Sin dal momento in cui decide di mettersi davanti al foglio bianco, lo scrittore è costretto a compiere una scelta e, in un mondo in cui la comunicazione va assumendo una dimensione planetaria, non ha più nemmeno l'alibi dell'ignoranza: tacere un'ingiustizia significa rendersene complici.”
Entrambi gli autori, nonostante abbiano vissuto in contesti storici diversi, rilevano l’impegno civile che uno scrittore dovrebbe avere, aldilà della tipologia testuale che affronta (di denuncia o d’intrattenimento) senza dimenticare i destinatari. Dunque, ci ricordano le prerogative che anche lo scrittore di oggi potrebbe possedere.