Parlate pure di buddismo, di karma, di etica orientale se volete, ma a me questo mondo appare pericolosamente vicino a quello di Beautiful
La Storia di Genji (Genji Monogatari) è un classico della letteratura nipponica, scritto dalla nobile giapponese Musaraki Shikibu, dama di corte vissuta nel periodo Heian (794-1185).
Il romanzo illustra e racconta minuziosamente la vita delle alte cortigiane e si presenta come un qualsiasi novelliere che abbia un personaggio principale su cui ruota tutta la storia ed attorno al quale si affolla una pletora di personaggi di maggiore e minore importanza che hanno grande influenza sulla sua vita. Un paese chiuso, lontano, il Giappone, con una corte imperiale e la sua aristocrazia che costituisce un mondo a sé, ulteriormente chiuso, e con all'interno il mondo ancora più nascosto e sconosciuto delle dame di corte: una wunderkammer che Murasaki Shikibu apre per rivelarne proprio la parte più interna e misteriosa. Se il mondo imperiale del Giappone del X secolo è uno scrigno segreto, la Storia di Genji è la chiave che ci dovrebbe permettere di aprirlo e perdercisi dentro (magari, a volte, anche troppo). Per tutta la durata della lettura è necessario tener presente che ci si è immersi in una realtà medievale, elitaria ed estremamente circoscritta, in cui le gerarchie sono organizzate con la massima precisione e l'etichetta è rigidissima.
L’edizione di cui sto parlando è quella di Einaudi (ET Biblioteca) del 2015, curata e tradotta da Maria Teresa Orsi; un libro di 1380 pagine graficamente molto gradevole e allestito in modo maneggevole. Me ne aveva parlato Laura Melara, amica e intellettuale di gran livello, e ciò è stato sufficiente a farmi superare le perplessità, che non derivavano certo dalle dimensioni dell’opera, ma dalla fama sospetta che la circonda. Il racconto, per quanto sterminato, è frammentario e incompleto e ciò ha consentito ai vari studiosi e autori di ogni paese che ne hanno tradotta la versione inglese, di lavorare d’immaginazione completando a loro piacimento il lavoro dall’autrice. Sembra, infatti, che Murasaki non avesse pianificato alcuna fine per il romanzo ma ha semplicemente continuato a scriverlo finché ha voluto o potuto, lasciandolo però incompleto. L’aspetto che maggiormente colpisce è l’abilità dell’autrice di stendere un filo coerente e aver saputo dedicare grande attenzione a tutti i personaggi, nonostante il loro gran numero (ne sono in scena, infatti, centinaia), riuscendo a dar loro spessore e consistenza. Ogni personaggio non viene quasi mai chiamato per nome ma per il proprio titolo onorifico o in base al ceto di appartenenza; incontriamo quindi il “Secondo Comandante della Guardia”, “Sua Eccellenza il Gran Ministro della Sinistra” o addirittura il “Fratello Minore di Utsusemi”… Le donne sono invece identificate indicando un colore tipico del loro abbigliamento o con un nome di servizio, diverso per ognuno di loro, oppure alludendo al rango di un parente maschio di primo ordine a cui esse appartengono. Abbiamo pertanto a che fare con la “Seconda Dama delle Stanze Interne”, con la “Principessa del Padiglione del Glicine”, con la “Sposa del Governatore Delegato di Iyo” o addirittura con la “Dama della Luna Velata Sesta Figlia del Gran Ministro della Destra Sorella Minore della Dama del Kokiden”. Insomma un vero e proprio delirio paratestuale che rende difficoltosa la lettura e costringe a continui rimandi alle note introduttive di ogni capitolo e a quelle conclusive (oltre 150 pagine compreso un corposo glossario); generalmente è il testo che produce il paratesto, ma qui avviene esattamente il contrario. Ciò costituisce un'ulteriore fonte di possibile confusione nell'identificazione dei numerosi personaggi di corte non altrimenti specificati, con conseguente rischio di deriva accidiosa del povero lettore.
La storia, che vorrebbe narrare la vita del principe Genji, raccontandone della gioventù, dell’ascesa al successo, della mondanità e degli amori, sino alla caduta e poi risalita con un intreccio in cui da cornice sono delle ammalianti e belle figure femminili, è ulteriormente appesantita dalla presenza di banali e noiosissime poesie e di conversazioni scritte in versi. Insomma un gran pasticcio, probabilmente ascrivibile al lavoro dei primi traduttori in inglese dell’opera originale; la traduzione italiana pare sia operata sulla versione fornita da Arthur Waley, ritenuta dagli specialisti di letteratura orientale “corrottissima e discutibile”.
Ironia del destino deve toccare proprio a me, che non sono mai stato un campione di femminismo, rilevare la disinvoltura con la quale la critica letteraria sorvola su alcuni aspetti che, pur essendo fondanti della cultura giapponese, relegano la donna ad un ruolo subalterno.
Queste donne trascorrono le giornate letteralmente in penombra, dietro velate cortine sia pur regali, negli appartamenti o nelle carrozze che le conducono alle varie cerimonie, sempre al riparo da occhi indiscreti, celando il viso dietro il ventaglio o l'ampia manica del kimono.
Si tratta di una forma di sottomissione che il libro vuole fare apparire volontaria e gaudente, ma ha contribuito non poco a creare lo stereotipo della donna geisha che per secoli ha tracciato l’universo dell’eterno femminino nipponico, dove essere ancella o concubina costituisce comunque un privilegio.
Da più parti quest’opera è stata dipinta come un grandioso, incantevole e magico capolavoro; un meraviglioso quadro di bellezza effimera, di levità ieratica, di gioie e di dolori intensi, di caducità e di estrema ricerca estetica. Può starci tutto ma, paradossalmente, quello che funziona meno è proprio la figura centrale, Genji, il Principe Splendente, elevato a eroe nazionale, che si erge dalle pagine come uno smidollato donnaiolo, affetto da satiriasi acuta.
Nato dalla relazione dell’imperatore con una sua concubina, e non potendo quindi far parte del ramo principale della famiglia imperiale o aspirare al trono, Genji viene adottato dalla corte e riesce a scalare gli alti ranghi. Tutta la vicenda ruota, quindi, attorno alla vita amorosa di Genji e alle sue varie relazioni in piena coerenza con i costumi e le usanze della società di corte del tempo. Bugiardo, compulsivo e incosciente semina dietro sé una scia di dolore, facendo del male a tutti quelli che ha attorno: dal padre, al figlio illegittimo, all'amico, alle innumerevoli amanti (di ambo i sessi, non disdegnando i fanciulli) che seduce e abbandona come se guidato da una malefica forza oscura.
La dottrina religiosa che permea questa Storia di Genji è quella buddista del karma. Le stesse innumerevoli trasgressioni di cui si macchiano i personaggi sono governate dalle regole del karma; ne deriva pertanto che le disgrazie e gli incidenti sono diretta conseguenza di azioni malvagie compiute nella vita, o nelle vite, precedenti. Così Genji, che tradisce il padre imperatore con la sua nuova consorte, avrà da questa un figlio, il quale, però, verrà creduto figlio dell'imperatore e erediterà il trono. Nella donna, Genji vede la dolcezza e la bellezza della madre e se ne innamora perdutamente. Nonostante sia ricambiato dalla donna, i due sono costretti a reprimere i loro sentimenti in quanto lei “appartiene”, in qualità di concubina prima e di sposa poi, all’imperatore; da notare che Genji a sua volta si è da poco unito in matrimonio con la principessa Aoi.
Ma la maledizione del karma è peggiore di quella del DNA… e così questo imperatore è destinato a essere tradito a sua volta e si ritroverà tra le braccia un figlio non suo!
La conclusione del romanzo vede Genji ormai anziano riflettere solingo sul senso della vita e sulla caducità delle cose terrene. Altri capitoli, conosciuti come Capitoli di Uji, continuano a dipanare vicende anche dopo la morte di Genji e vedono protagonisti il figlio e un suo amico alle prese con le loro vicende amorose.
Parlate pure di buddismo, di karma, di etica orientale se volete, ma a me questo mondo appare pericolosamente vicino a quello di Beautiful e alle vicende delle famiglie Forrester e Spectra, con buona pace di tutti gli appassionati delle soap opera che potranno finalmente vantare dei precedenti letterari autorevoli.
Murasaki Shikibu, La storia di Genji, ET Biblioteca Einaudi, Torino 2015, pagg. 1386, € 28,00