Studio uno

La nonna copriva con un telo il televisore  quasi a preservare lo spettacolo di cui avevano goduto

 La gondola di plastica, souvenir del viaggio di nozze a Venezia, svettava maestosa sopra il televisore a valvole con schermo di spesso vetro il cui tubo catodico fuoriusciva di qualche centimetro dal cassone.  Sopra l’imbarcazione veneta c’era delicatamente poggiato un centrino fatto ad uncinetto, ché non rigasse il prezioso elettrodomestico. Sul ripiano in vetro del mobiletto poggiava lo stabilizzatore: si accendeva sempre prima della tv stessa e …. si aspettava qualche secondo: appariva un puntino bianco, e oplà, Che soddisfazione! Siamo nel 1961, ora la famiglia allargata, mammà, papà, zio e zia, nonno e nonna, ha potuto permettersi l’acquisto di un proprio apparecchio: l’aria del boom economico si respira anche per lei, ora per godersi la visione dei programmi della serata non si è costretti ad andare a casa del vicino benestante o scendere giù al bar, ora tutti seduti in un semicerchio con al centro il braciere d’ottone che riscaldava le gambe delle anziane nonna e zia cui le calze di lana non erano sufficienti.

I vivaci pargoli erano già stati messi a letto dopo “Carosello”: ora sì che è possibile lasciarsi andare anche a commenti “per adulti”.
Appariva la sorridente immagine della “Signorina Buonasera”:
“Buonasera: dalla sede di Roma trasmettiamo “Studio Uno”, varietà  presentato da Mina per la regia di Antonello Falqui…”
-Ma lo sai che dice la “Domenica”? – domandò retoricamente la zia mentre sferruzzava il maglioncino da regalare al nipote  riferendosi a ciò che aveva letto sulla “Domenica del Corriere”
-…Che la Mina se la fa con Corrado Pani!-
-Shhhh! – la zittì la nonna, intenta a sgranocchiare lupini attinti da un coppo ed indicandole  un quadretto appeso sulla parete a lato quella del televisore recante la scritta “Mio nonno campò cent’anni perché si fece i fatti suoi”.
Il Maestro Canfora, uno spilungone  in smoking nero, dettava il tempo all’imponente orchestra girato di spalle al pubblico,  mentre dalla sinistra sbucavano due bionde stangone identiche con tacchi alti e pudiche calze di cotone nere che coprivano le cosce: Le gemelle Kessler.
-Eh, ma così non c’è gusto, però!- Esclamava il papà.
Occhiataccia della mamma, ghigno del nonno.
“Hello boys! Traversando tutto l’Illinois, valicando il Tennesse, senza scalo fino a qui, è arrivato il Da-da Umpa, da-da umpa, da-da umpa, Umpa!”
Ed era il turno del balletto, il cui coreografo è un omino minuto,  con un italiano anglosassone che inventava passi di danza originali ed eleganti, quando ancora non era previsto che a danzare dovessero essere cloni di Big Jim.
E poi McRoonay, un mimo di origine francese che utilizzava un nome d’arte scozzese, ex acrobata circense dagli sguardi buffi e strampalati.
E la Tigre di Cremona, per la quale il Maestro Canfora scrisse “Brava!” un brano impossibile cucito su misura per le sbalorditive estensioni dell’artista più osannata del momento. Che poi, ad ogni puntata invitava un “Uomo per me” diverso: Mastroianni, Totò, Sordi,  con i quali duettava in sketch divenuti memorabili.
Le gemelle chiudevano lo spettacolo intonando “La notte è piccola per noi, troppo piccolina”  mentre, quasi a smentirle, la famiglia allargata si alzava  dalle  seggiole  sbadigliando per il sonno pregustando già il prelibato pranzo della domenica cucinato dalla nonna: maccheroni fatti in casa col ragù di maiale, braciolone e cotolette.
Il nonno buttava qualche goccia d’acqua sul braciere e la nonna copriva con un telo il televisore,  quasi a preservare lo spettacolo di cui avevano goduto.
Ed il puntino bianco che appariva girando la manopola in OFF indicava la fine delle trasmissioni.