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“The Post”. Seppur ambientato negli Stati Uniti del 1971, momento cruciale per la società americana, i temi che Spielberg affronta sono più che attuali. Immagine della locandina del Film tratta http://www.mymovies.it/film/2017/the-post/ 

Se esiste un regista che più di tutti ha amato raccontare la storia attraverso il cinema, quello è Steven Spielberg. Quando dirige Biopic o film tratti da vicende reali, il suo grande pregio è saper ricavare dalla storia in generale delle singole storie, anche meno conosciute, rendendole interessanti, e questo è proprio il caso di “The Post”. Seppur ambientato negli Stati Uniti del 1971, momento cruciale per la società americana, i temi che Spielberg affronta sono più che attuali: il potere della carta stampata, e in generale degli organi di informazione, la libertà di stampa e di espressione, e non per ultimo il ruolo della donna in un modo patriarcale.

La premessa che apre la pellicola è fondamentale: Daniel Ellsberg, analista militare per conto del segretario della difesa Robert McNamara, infrange la legge fotocopiando dei documenti top secret legati alla guerra in Vietnam, meglio conosciuti come “Pentagon Papers”, per consegnarli al New York Times ed essere divulgati alla popolazione. In 7000 pagine è rivelata la scioccante verità sul conflitto: il governo praticava l’omicidio e lo sterminio di massa con raid aerei ben prima dell’inizio ufficiale delle ostilità, e nonostante aver constatato l’inesorabile sconfitta, continuava imperterrito a mandare giovani ragazzi incontro alla morte solo per salvarsi dalla pubblica umiliazione.

Una grande messa in scena di cui tutti, tranne il governo stesso, sono ignari. Il modesto Washington Post, in possesso da Katharine Graham (Meryl Streep) dopo il suicidio del marito, è costretto a essere quotato in borsa per problemi finanziari. Nel 1971, quando il New York Times è pronto alla pubblicazione degli scioccanti documenti, un’ingiunzione fa sospendere tutto. La palla passa ai giornalisti del Post, capitanati da Ben Bradlee (Tom Hanks), che ottenuti gli stessi documenti e ricevuta la chiamata dalla Casa Bianca con esplicita richiesta di consegnare tutto il materiale e bloccare la pubblicazione, si trovano di fronte a un bivio, professionale ancor prima che morale. Andare avanti nella pubblicazione, a costo di rischiare di perdere tutto, le proprie carriere, e persino la propria libertà.

La scelta non può che essere più ardua. E qui si erge una straordinaria Meryl Streep (non a caso paladina dei diritti delle donne ad Hollywood), che interpreta la lotta interna di una donna inesperta, circondata da uomini abituati a decidere per lei, incerta se rischiare tutto quello che il marito ha costruito, compresi i rapporti con i nuovi investitori, o tentare di cambiare per sempre lo status del suo giornale, e anche il modo di fare giornalismo. Ma anche incerta sul tradire un caro amico di famiglia come McNamara, che frequenta abitualmente la sua casa.

Ma nonostante ciò, la scelta per lei, così come per Spielberg, non può che essere ovvia. Dopo essere stati in tribunale, e dopo la vittoria presso la Corte Suprema, il Post può pubblicare tutto. E sulla sua scia, parecchi giornali da ogni città si dimostrano solidali. Gli americani finalmente conoscono la verità su un orrore destinato alle polemiche ancora a lungo, forse per sempre.

Il film, coadiuvato dalla splendida fotografia di Janusz Kaminski, e dall’immancabile colonna sonora di John Williams, si concentra poco sull’inchiesta giornalistica, differenziandosi in modo marcato una pellicola strettamente collegata come “Tutti gli uomini del presidente” (1976, Alan J. Pakula), in cui Redford e Hoffman nei panni di Bob Woodward e Carl Bernstein indagano sullo scandalo del Watergate, diventando senza ombra di dubbio un film sul coraggio.

Coraggio nel prendere decisioni difficili, coraggio nel combattere per i propri ideali. Il coraggio dell’unica donna seduta ad un tavolo di soli uomini, il coraggio di un datore di lavoro che mette a rischio il futuro delle famiglie dei propri dipendenti, il coraggio di una madre che ha visto un figlio partire per una guerra folle e selvaggia, forse il coraggio di tutte le madri, e di tutti i padri, che hanno sopportato il dolore della perdita dei propri figli in nome di una nazione che in realtà li ha traditi.

Ma anche il coraggio nella difesa di uno dei diritti fondamentali per ogni cittadino del mondo, la libertà di stampa. Ed è proprio nel periodo delle fake news e dell’informazione strumentalizzata a incitare all’odio, a creare fazioni, a creare distinzioni tra razze e religioni, che abbiamo bisogno di esempi come quello dei giornalisti del Washington Post. Esempi di coraggio e speranza.

Il grande cinema di Spielberg, ancora una volta garanzia di qualità.