Il Premio Nobel, tanto ambito e tanto snobbato
Adoro le previsioni sul Nobel. Soprattutto perché non ci azzeccano mai. Quest’anno, ad esempio, per quanto riguarda la Letteratura, in molti davano per scontata la vittoria di Roth o di Murakami.
E invece l’Accademia di Svezia ha assegnato il Premio a Kazuo Ishiguro, “per aver scoperchiato l’abisso sotto il nostro illusorio senso di connessione con il mondo”.
Ishiguro, scrittore giapponese naturalizzato britannico, autore di Quel che resta del giorno del 1989 - per il quale aveva già messo in saccoccia il Booker Prize e da cui qualche anno più tardi venne tratto l’omonimo film di James Ivory, con Anthony Hopkins - è stato definito come un mix fra Jane Austen e Franz Kafka con un pizzico di Marcel Proust.
Senza nulla togliere al valore letterario e alla bellezza delle sue opere, nonché all’entusiasmo che ha mostrato alla notizia della vittoria (“un magnifico onore, soprattutto perché significa che sto seguendo le orme dei più grandi scrittori di sempre”), il personaggio a cui ho pensato per tutto il tempo è stato Bob Dylan.
Ho pensato ai testi delle sue canzoni e alla motivazione che l’anno prima gli hanno consentito di vincere, a sorpresa, proprio il Nobel (“per aver creato nuove espressioni poetiche nella grande tradizione musicale americana”), ma soprattutto al fatto che non si sia presentato a ritirarlo.
Aveva di meglio da fare? Voleva spiazzare tutti con una scelta sorprendente com’è sempre stato nel suo stile? È stata una decisione personale? Una mossa architettata a tavolino dal suo entourage?
Eppure il caro Bob non è stato l’unico a buttare un occhio all’agenda e a trovarla troppo fitta di impegni per potersi o volersi recare a Stoccolma. Nel corso degli anni altri personaggi non si sono fatti vivi alla cerimonia di consegna del Premio istituito per volontà del chimico e industriale svedese Alfred Nobel, inventore della dinamite e della balistite.
Ad esempio Boris Pasternak, lo scrittore russo autore del celebre “Il dottor Zivago”, divenuto un successo internazionale. Le minacce del Kgb gli fecero optare per il no.
Nel 1925, George Bernard Show riceve il Nobel “per la letteratura per un lavoro segnato da idealismo e umanità e per la sua satira stimolante, spesso caratterizzata da singolare bellezza poetica”. Prima lo rifiuta, poi ci ripensa, ma decide di non accettare il denaro.
A rifiutare fu anche il filosofo francese Sartre. Il 22 ottobre del 1964 la Fondazione gli assegna il Premio “per la sua opera ricca di idee e piena di spirito di libertà e ricerca della verità” ma Sartre dichiara che “solo dopo la morte di un uomo si può valutare il suo valore come letterato”. Lo stesso aggiunge di aver sempre declinato gli inviti ufficiali perché lo scrittore deve rifiutare di lasciarsi trasformare in istituzione.
E arriviamo a Elfriede Jelinek, scrittrice austriaca che vince il Nobel nel 2004, "per il flusso musicale di voci e controvoci nei romanzi e nei lavori teatrali che con straordinario zelo linguistico rivelano l'assurdità degli stereotipi sociali e del loro potere soggiogante". Indovinate? Al suo posto, il giorno della premiazione, viene proiettato un video girato nel suo appartamento, a Vienna. Lei, a Stoccolma, non ci va.