Ma andiamo con ordine. Pochi giorni fa il gruppo Intesa ha annunciato di voler mettere in sperimentazione a partire da gennaio e su base volontaria un nuovo modello lavorativo. Se si raggiungerà l’accordo con i sindacati, i dipendenti coinvolti potranno scegliere di lavorare solo quattro giorni a settimana per nove ore al giorno, a parità di retribuzione e senza obbligo di giorno fisso.
Non è la follia di un amministratore visionario ma, come osservano i commentatori, uno dei più gettonati trending topic d’Europa. In altri termini, in Belgio, Irlanda, Scozia e Spagna sono già in corso sperimentazioni simili. In Italia anche il gruppo Lavazza si è spinto nel territorio oscuro della qualità della vita, con un contratto che prevede, a parità di stipendi, l’uscita anticipata il venerdì da maggio a settembre e un ampliamento dello smart working, del congedo di paternità e delle ore di permesso per assistenza ai familiari. Uno strumento per aumentare la produttività e promuovere la parità di genere. In generale, uno strumento per incrementare la felicità degli individui in una società mangiatempo.
Bisogna certo dar conto di questo. Alcuni brillanti critici avrebbero rilevato che il beneficio ‘accertato’ della settimana corta riguardi ‘solo’ il benessere psicofisico delle persone, mentre i risultati a livello di incremento di produttività sarebbero risibili. Ammesso che la tesi sia fondata, e non ci pare che i dati siano sufficienti per dirlo, a costoro chiederemo di provare a misurare la propria felicità e quella dei propri familiari in termini di Prodotto aziendale e mandarci una tabellina Excel con i risultati.
E intanto il Governo che fa? Proroga il diritto allo smart working per le sole fasce fragili.
Come dire, cari genitori rassegnatevi. La pacchia è finita.