COM'ERAVAMO IN CALABRIA. I nostri dolci di Natale

COM'ERAVAMO IN CALABRIA. I nostri dolci di Natale
A Reggio e dintorni si chiamano “petràli”, in altre zone della Calabria non so, ma nell’Alto Jonio Reggino li chiamiamo “pitti ’i San Martinu”, anche se non sono focacce e non si sa cosa c’entri il Santo. Comunque, la loro preparazione tradizionale iniziava… in piena estate! Sì, perché bisognava scegliere i fichi migliori, aprirli per il lungo e metterli a
seccare al sole, ben protetti da un velo contro le visite di insetti golosi. 

In settembre, si preparavano i “pàssuli”, selezionando dei grappoli di uva bianca dai grossi acini, scottandoli in acqua bollente e mettendoli ad asciugare al sole. Appena vendemmiato, si faceva il “vinu cottu”, mettendo a bollire a lungo del mosto, buonissimo poi anche per la “scirubetta”, la granita che si preparava con la prima neve!

Intanto, era giunta l’ora di accordarsi con qualche contadino perché mettesse da parte le noci migliori, molte noci, perché “si devono sentire in bocca!” - diceva la nonna.

Dopo la Festa dell’Immacolata, si iniziava a preparare la “pasta”, che non era la sfoglia, ma la farcia. Innanzitutto, andavano tolti i semi dagli acini dei “pàssuli”, un compito noiosissimo da far svolgere ai bambini, ma sotto stretta
sorveglianza, altrimenti ne sarebbero rimasti pochini… Dopo, si tagliavano a pezzi piccoli i fichi secchi e più grossi le noci, “pecchí sutt’e denti ‘nd’hannu ‘u si sentunu!”- diceva la nonna.

Nel frattempo, erano giunti a maturazione i nostri mandarini ed alcune - profumatissime! - bucce, finemente tritate, andavano assolutamente aggiunte alla frutta secca, aromatizzata con “vinu cottu”, poi con cannella e chiodi di
garofano: gli unici due ingredienti non di produzione locale. L’impasto veniva lasciato riposare alcuni giorni, mescolandolo di tanto in tanto; poi si preparava la sfoglia con farina, zucchero ed uova, la si stendeva sottile e sopra si spalmava la farcia.

Le “pitte” potevano essere aperte, tipo crostatine, oppure chiuse come un calzone, sulla cui superficie si intagliavano delle aperture. Poi si cospargevano di codetta e si cuocevano nel forno a legna. Per molti anni, ricordo quantità industriali di “pitti” in casa. Tra quelle preparate da ogni famiglia - non farlo era un brutto segno: di lutto o di qualche
grave malattia - e quelle regalate da vicini e parenti (lo scambio era d’obbligo!) noi bambini ci facevamo ogni giorno colazione, pranzo, merenda e cena. Ciononostante, poco ci mancava che durassero fino alla Candelora che, secondo la Chiesa Cattolica, sancisce la chiusura del periodo natalizio!

Oggi questi dolci si possono acquistare praticamente in ogni periodo dell’anno; la preparazione varia, c’è chi all’impasto aggiunge caffè, cacao, mandorle, ma a me piace ricordare la nostra ricetta tradizionale che aveva il sapore di un rito, faceva partire l’Avvento in piena estate e rendeva i Natali della gente semplice e laboriosa quale eravamo davvero magici!
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