E niente, Mimì Capatosta con le donne non sa proprio fare. E proprio per un affare di donne è scivolato su una grandiosa buccia di banana, tanto pericolosa e scivolosa che ci sta rimettendo il bene più prezioso: la libertà. Ed anche stavolta i suoi problemi sono strettamente connessi alle vicende delle prostitute nigeriane. Ma che hanno di speciale queste donne? Perché il Sindaco ha osato occuparsi ripetutamente di loro, della loro incolumità, invece di portarsele a letto come farebbero e fanno centinaia di uomini.
A Becky Moses, bruciata viva nella tendopoli di San Ferdinando, Domenico Lucano ha riservato il funerale in pompa magna nel cimitero di Riace, indossando addirittura la fascia tricolore, a questa qui, a quest’altro povero essere, indicato come Joy, nel verbale delle intercettazioni, “diniegata” tre volte e quindi soggetto grandemente problematico, destinato a ritornare in Nigeria, ha destinato ben altre e diverse attenzioni. In effetti la poveretta era viva e non morta come l’altra, e quindi occorreva provvedere diversamente.
Così, esclusa l’idea della prestazione sessuale, perché Mimì è un uomo perbene e non si approfitta di nessuno, ha pensato bene di esprimere un’idea, di dare un consiglio come si fa chiacchierando tra amici. Ora su questo consiglio e su quello che è il libero esercizio del pensiero pesa la mannaia della Procura di Locri e il macigno, ben più difficile da demolire, -perché riguarda un’idea-, dell’essere o meno criminale, dell’essere, in altri termini, colpevole o innocente.
Ah, dimenticavo, poi c’è l’altra questione, anche questa di enorme rilevanza! Il problema della “monnezza” e degli appalti a Riace. Certo, reato gravissimo quello della turbativa d’asta, reato chiaramente commesso da pubblico ufficiale. Solo che a ben riflettere viene da chiedersi: - ma a Riace quanti abitanti vivono? - Insomma quanti rifiuti solidi occorre smaltire in una settimana, in un anno nel piccolo centro di duemila anime circa? Comprenderemmo una “turbativa”, un “maneggio, in una città come New York, come Londra, città popolose, con chili e chili di spazzatura da trattare. Ma in un piccolo borgo non è più ragionevole affidare l’incarico con il buon senso a chi lavora meglio? A quella cooperativa, a quell’imprenditore del quale si conoscono le virtù umane e che garantisce serietà? Insomma non è meglio trattare da uomo a uomo piuttosto che ingabbiarsi nei bandi e nelle aste?
Ed anche in questo caso, il buon senso di Mimì ha trovato un ostacolo: la legge. E tuttavia, la legge, se deve essere uguale per tutti, come ha insegnato da sempre la Corte Costituzionale alla quale tanti magistrati, soprattutto quelli siciliani di frontiera si sono rivolti contro le rigidità della “Bossi-Fini”, deve guardare anche alla situazione di fatto sottostante. Cioè la legge è uguale per tutti, ma questi “tutti” devono trovarsi nella medesima situazione. È questo un principio di giustizia sostanziale che serve per l’appunto a temperare il rigore di ogni norma giuridica. Ed applicare al “caso Riace” e direi alla Calabria tutta il diritto in maniera ferrea crea un irredimibile guasto che ha un nome preciso: ingiustizia.