La folla gridava “Mimmo libero”. E a voler essere proprio pignoli, letterali, per dire, non si può negare che i giudici abbiano accontentato gli appetiti di tutti. Mimmo Lucano, il curdo, l’eroe della normalità, è libero, in effetti. E gli urlatori sotto la finestra sono stati accontentati. Ma sono stati accontentati anche quelli che non volevano vederlo più, quelli che volevano mettere un macigno sopra il suo lavoro. Tutti contenti, tranne lui.
Torna libero, dunque, dopo due settimane di domiciliari, vissuti in modo strano, nella massima libertà possibile concessa all’interno della sua casa. Non un passo fuori, forse anche il pugno levato al cielo era di troppo - dentro, fuori la proprietà? Che dilemmi -, ad uscire ci pensavano le sue parole, i suoi pensieri, mai risparmiati a centinaia di giornalisti affamati come squali, incuranti dei suoi occhi gonfi, della stanchezza scolpita in volto, della lucidità zoppicante. Come si dice, è la stampa, bellezza.
Mimmo è libero, vi raccontavo, ma della libertà se ne fa poco. Perché non ha mai nascosto che Riace è una parte del suo corpo, forse la più importante, quella della quale non riuscirebbe a separarsi. Meglio un braccio in meno, forse, che fare a meno di Riace. E così, quando ieri sera tardi - con una velocità che nulla sembra avere a che fare con le aule a cui siamo abituati qui in Calabria - i giudici si sono pronunciati, la libertà è parsa una punizione più crudele delle sbarre. Stattene fuori da Riace, gentilmente. Vai via. Come sarebbero dovuti andare via i “suoi” migranti, almeno sulla carta - perché di quella partenza volontaria di cui ha parlato dopo Matteo Salvini non c’era scritto proprio niente -, loro che ora possono scegliere cosa fare. Lui non può. Ed è la legge, cari miei, suggerisce qualcuno commentando l’ondata di indignazione che è scaturita da questa decisione. “Dove eravate per gli altri?” (che uno si chiede: tu dov’eri, dove sei?).
Lo sappiamo tutti: la legge è legge, non ci piove. La magistratura va rispettata, anche quando non è d’accordo con se stessa. Come in questo caso. Ma nulla impedisce di valutare. Di interpretare. E dire che il provvedimento preso a carico di Lucano sia solo un fatto giuridico significherebbe chiudere gli occhi di fronte all’evidenza. Perché per quanto si sia ancora in una fase cautelare, per quanto ancora nulla si possa dire sulla colpevolezza, sull’innocenza o sui buoni propositi del “Curdo” - sebbene trasudino anche dalle parole di chi lo ha costretto ai domiciliari -, non si può fingere di non vedere che ad ogni parola da lui pronunciata corrisponda una reazione uguale e contraria. “Rifarei tutto”, dice il giorno della manifestazione. E il ministero mette i sigilli al progetto, con un provvedimento mai preso prima, per l’unico modello che fa spellare le mani ad applausi in giro per il mondo. E allora lui, Mimmo, rilancia e dice, come suo solito senza porsi troppi problemi, “andremo avanti senza fondi, Riace continuerà a vivere”. E allora, sai che c’è, Riace te la levano. Qua, tu, non ci stai più. Non puoi entrarci. Chissà fino a quando. Almeno un mese, calcolando i tempi dei ricorsi e i movimenti lenti della Cassazione, che sicuramente rimarranno tali.
Quindi nel frattempo Riace si spegnerà, magari. Come un fuoco rimasto senza ossigeno, costretta com’è a sedersi su quella burocrazia tanto odiata. Dovrà attendere e, forse, morire di stenti. Il ricorso al Tar contro il ministero - “per una questione morale” - da un lato, il ricorso in Cassazione contro il divieto di dimora da un altro, mentre intanto la Procura prova a rimettere in piedi le accuse più pesanti: truffa, concussione, malversazione. Che il gip, a quelle, non ci ha creduto manco un po’.
Non è colpa di Salvini, non è colpa di Minniti, la responsabilità è un po’ di tutti. Come quando ci si accanisce su un corpo con calci e pugni in tanti: non è il primo o l’ultimo colpo a causare il coma, nella migliore delle ipotesi, ma tutti insieme. E non puoi dire che sia stato tizio o caio a fare il danno, no. Sbaglieresti.
Lucano è un pugile, i colpi li incassa bene. Ma sono riusciti a farlo barcollare rispondendo ad ogni dritto con un rovescio. Assestato dove fa male, dove serve. E ottenendo quello che s’inseguiva da tempo: un’onda anomala, questa volta non verso la riva, dove i barconi, se hanno fortuna, si arenano, ma lontano, verso l’orizzonte, verso il confine. Anzi, verso il confino. Come se Mimmo il Curdo fosse un violento, un persecutore, uno che ha fatto male a ciò che aveva per le mani. E infatti lacrime, a Riace, ne hanno piante tante, su quelle pelli scure. Ma non per lui. Senza di lui.