Sono stato figlio di Israele…
Ho cantato davanti al tramonto lo Shema Israel e le Berachot nell’ombra della sera e sul far del mattino, ho amato Israele con tutta l’anima, con tutto il corpo, con tutte le mie forze: Hanna Arendt, Franz Rosenzweig, Martin Buber e la saggezza antica figlia di questa terra.
Sono stato figlio di Israele, della sua memoria, dei suoi riti, ho pianto davanti al ricordo dell’Olocausto e sono impallidito davanti al racconto dei sopravvissuti, ma adesso, oggi, in questo istante figlio del sangue dei caduti, io rinnego Israele, rinnego Israele come un figlio che abbandona la madre, come un amico dimentico degli anni fedeli.
Rinnego Israele perché ha perso la memoria, rinnego Israele per ogni figlio di Palestina che giace nel sangue.
Nel momento in cui scrivo, in questa mattina di un assolato 3 di agosto, mille o forse più sono i corpi nella polvere, madri palestinesi piangono i figli come Madonne che gridano a Dio il proprio dolore.
Non mi soffermerò in questo breve articolo su chi ha torto o chi ha ragione, niente dirò sulla fondazione dello stato di Israele e delle nazioni che adesso invocano così zelantemente la pace e che hanno armato negli anni passati uno degli eserciti dotati dei sistemi più avanzati.
Oggi, permettetemelo, parlerò a me stesso, giustificherò me stesso, chiederò perdono a me stesso, per la ottusa inconsapevolezza e per non aver detto o fatto niente davanti a questa carneficina.
Chiederò perdono a me stesso per aver creduto alla radicale necessità di Israele di difendersi anche se davanti ai suoi carri armati aveva bambini che rispondevano al fuoco con pietre.
Chiederò perdono a me stesso perché oltre alla Torah avrei dovuto leggere il Corano, libro pieno d’amore e di significato.
Chiederò perdono a me stesso perché ho confuso, come la maggior parte delle persone o illuminati intellettuali, Hamas ed ogni altra fazione terrorista con la popolazione inerme.
Chiederò perdono a me stesso per il povero Mohammad Abu Khdeir arso vivo all’età di 16 anni da tre ragazzi israeliani in nome della libertà. Chiederò perdono a me stesso perché non ho voluto vedere: la scuola Onu colpita dai missili, gli ospedali dilaniati dalle bombe e il tiro a bersaglio sulle ambulanze, tane mobili secondo i saggi israeliani dei feroci terroristi. Chiederò perdono a me stesso perché non sono “rimasto umano” e perché ho cancellato in un sol colpo le parole del mio caro Vittorio Arrigoni: “Io che non credo alla guerra, non voglio essere seppellito sotto nessuna bandiera. Semmai vorrei essere ricordato per i miei sogni. Dovessi un giorno morire – fra cent’anni – vorrei che sulla mia lapide fosse scritto quello che diceva Nelson Mandela: “Un vincitore è un sognatore che non ha mai smesso di sognare”.
Chiederò perdono a me stesso per ogni casa sulla striscia di Gaza rasa al suolo e per tutte quelle vite cancellate a colpi di ruspa.
Io sto con i palestinesi… io sto con Amira Hass altra figlia che Israele ha perso per la quale: “Se la vittoria si misura con la capacità di provocare un trauma devastante (e non per la prima volta) a 1,8 milioni di persone che aspettano solo la morte, allora la vittoria è vostra. Questi trionfi alimentano la nostra implosione morale, la sconfitta etica di una società che non intende guardarsi allo specchio, che si lamenta per il ritardo di un volo e nel frattempo si considera composta da uomini illuminati. Una società che piange i suoi 40 soldati morti ma allo stesso tempo è insensibile alla sofferenza e al coraggio del popolo che sta attaccando. Una società che non capisce fino a che punto le forze in campo sono squilibrate”.
In questo silenzio che sa di morte, per un’ultima volta chiederò perdono a me stesso per uno solo dei miei due occhi... Shema Israel !!!