REGGIO. Le Riflessioni di un educatore dei servizi psichiatrici su una burocrazia senz’anima

REGGIO. Le Riflessioni di un educatore dei servizi psichiatrici su una burocrazia senz’anima

 filo

(Rep) Sono Giuseppe Foti, un educatore dei servizi psichiatrici di questa città, sanamente imperfetto come mi piace definirmi. Da molto tempo, il settore psichiatrico ed il sociale in genere, sono stati messi in ginocchio da innumerevoli problematiche, divulgati più volte per mezzo stampa e dai vari media. La mia riflessione vuole essere un personale punto di vista, nato dall’esigenza, direi stringente, di condividere un pensiero in merito alla questione, e questo attraverso la personale analisi della definizione di burocrazia senza anima e delle sue conseguenziali e infinite maschere. 


Per fare ciò, ho volutamente e rispettosamente, preso spunto dal libro della politologa e filosofa, Hannah Arentd*, perché il suo pensiero è più che mai attuale e si addice perfettamente al momento socio/politico che viviamo quotidianamente da anni. La Arentd, nel suo libro, racchiude un resoconto dettagliato del processo svolto a Gerusalemme nel 1961 nei confronti del criminale nazista ed esecutore burocratico del genocidio di molti Ebrei, Adolf Eichmann. L’ accusato, nel suo tentativo di difendersi, sosteneva di non essere colpevole perché riteneva di agire secondo la legge vigente del tempo, senza mai negare quanto abbia fatto o avere intenzione di pentirsi.

Non voglio prolungarmi nella parafrasi, ma con questa breve e ripeto, umile sintesi, vorrei soffermarmi in ciò che portò successivamente la Arentd ad asserire in un concetto di grande spessore: “la manifestazione del pensiero non è la conoscenza; è l’attitudine a discernere il bene dal male, il brutto dal bello”.

In tutto questo, vi chiederete, cosa c’entrano i servizi psichiatrici ed il sociale e le loro attuali vicissitudini?  Nei confronti a cui ho assistito e che abbiamo avuto con istituzioni di vario genere, disposte ad ascoltarci o nominate a risolvere queste complesse problematiche, non ho riconosciuto questa antropica attitudine, principio inevitabile per i temi che si venivano a trattare.

Con questo non voglio offendere nessuno perché il più delle volte tale inclinazione, conscia o inconscia, fa parte dell’umana complessità e quindi appartiene ad ognuno di noi, ma necessita di attenta e costante valutazione e dovuta riflessione. Il paziente psichiatrico, questo lo voglio sottolineare per spiegare il mio rammarico, è stato storicamente designato dalla società ingiusta, come elemento di disturbo o peggio ancora, come malato da tenere lontano dalla società. Questa visione ha fatto sì che nei loro confronti si attuasse nel passato una sorta di controllo sociale che si voleva superare con la legge Basaglia. Ma sfortunatamente, le famose catene che imprigionavano gli alienati e tolte da Pinel nel 1793 a Bicetre o, molto più recente, i muri dei manicomi abbattuti da Franco Basaglia nei primi anni settanta, esistono ancora simbolicamente nelle menti dei tanti.

I tanti, tornando alla Arentd, possono essere, come li definì la stessa e contestualizzando i vari periodi storici, uomini “terribilmente normali” e di conseguenza presenti in ogni ambito, cultura ed epoca, che nel rigore della burocrazia o di una politica che non riesce ad andare “alle radici delle cose”, non trovano la “profondità e la radicalità del bene”, ma si perdono, anche inconsapevolmente, nell’inautenticità e nella “banalità del male”, vuoto e inconsistente. Con questo faccio il mio rispettoso e personale invito, a chi lo ritenga indispensabile, ad un maggiore predisposizione al pensiero critico ed a una riconsiderazione del dialogo che è genesi ineluttabile dell’accettazione dell’alterità.  

Concludo, volendo ricordare ancora il grande Franco Basaglia e la sua lotta contro lo stigma legato al paziente psichiatrico. Ci ha insegnato, fra le tante cose, nel suo immenso lavoro che la normalità non esiste e che non ci si può fermare alle apparenze, perché “cura” è anche responsabilità verso il prossimo. Responsabilità che sta anche nell’accettare il diverso senza preconcetti, con la consapevolezza che può essere una risorsa, ma sta anche nel fatto di accettare un altro punto di vista, senza perdersi nel rigore istituzionale o nella peggiore delle ipotesi nell’arroganza……uno dei mali del secolo!!!!!

*Hannah Arendt, La banalità del male, (titolo originale, Eichmann in Jerusalem, 1963, ndr).