Mr Coronavirus, imperterrito, continua a interrogarci sulla nostra condizione umana, storica e sociale. Quando la risposta a una delle sue domande è smart working, non possiamo dire che tutto il male venga per nuocere. L’altra sera, quando gli ho detto che io sono una delle poche fortunate persone che - già da molto prima che lui arrivasse - ha studiato e sperimentato questa straordinaria forma di lavoro, ha voluto farmi un’intervista su questo tema.
Scusa - mi chiede Mr C - ma davvero sto facendo qualcosa di buono?
Certo! Gli dico io. Stai deburocratizzando lo Smart Working e ci stai facendo fare un esperimento di grandissimo valore, che senza di te non avremmo mai fatto. Ne stanno parlando tutti, anche famosi giuslavoristi come Pietro Ichino.
Che cos’è lo smart working?
Smart working significa lavoro agile.
Vuol dire che si può lavorare da casa?
No. Vuol dire che si può lavorare da qualsiasi posto tu voglia: da casa, dal bar, dal treno…L’importante è avere un portatile e, all’occorrenza, una connessione.
Quindi non ci vogliono grandi attrezzature?
No.
Allora è diverso dal telelavoro?
Hai capito bene. Il telelavoro esiste da diversi decenni, ma è un’altra cosa. Si può fare solo da una postazione fissa e con apparecchiature ingombranti. Non si adatta a una società liquida così bene come lo Smart.
Ma io che c’entro con tutto questo. Prima di me non si poteva fare lo smart working?
Sì che si poteva. Solo che con il terrore che ci hai messo addosso, e con il fatto che è meglio evitare concentrazioni di persone negli uffici, hai spinto le aziende e le istituzioni pubbliche ad adottare il lavoro agile al di fuori dei limiti prima imposti dalla legge, limiti che prevedono una serie di adempimenti come la sottoscrizione di un accordo individuale con il datore di lavoro, di un’informativa sulla sicurezza e altro.
Quindi adesso è davvero agile!
Esatto.
Senti un po’, ma io so che è una roba per le mamme…
Assolutamente no! La conciliazione vita lavoro è solo uno dei tanti vantaggi. Vederla solo in quest’ottica è molto riduttivo. In realtà lo smart working è un modo per aumentare la produttività, stimolare la tecnologia e rendere i lavoratori più soddisfatti.
Però è anche un modo per avere maggiore equità di genere?
È chiaro che se lo smart working non è considerato solo una roba per mamme, anche i papà potranno passare più tempo con le proprie famiglie, e le mamme essere sollevate dalla solitudine e dal sacrificio di carriera.
Allora, se ha tutti questi vantaggi, perché avete aspettato me per diffonderlo?
Secondo uno studio del Politecnico di Milano (Osservatorio sullo SW) del 2019, la principale barriera all’introduzione di questo strumento è la diffidenza dei Capi. Tu hai un po’ scardinato questa diffidenza, travolgendola con la paura del contagio.
Perché i Capi sono diffidenti?
Perché la cultura del lavoro è ancora in larga parte fondata sulla gerarchia e sul controllo.
Ma come si fa a sapere che lo smart working non sia solo un modo per starsene in panciolle?
Ecco, ci caschi anche tu! è un principio di psicologia o no che se tu fai sentire una persona responsabile dandole fiducia, questa persona tenderà a non tradire la tua fiducia? Se invece una persona la marchi stretta per controllarla probabilmente avrà una reazione opposta, sarà indispettita e farà il lavoro svogliatamente.
Che altri ostacoli ci sono?
Purtroppo, a volte, la tecnologia. E il fatto che molti processi lavorativi sono ancora pensati per essere eseguiti in un posto fisico, in mezzo a un mare di scartoffie. Lo smart working funziona se si consente ai lavoratori di lavorare per obiettivi e su progetti definiti. Poi c’è anche un diffuso timore per la sicurezza dei dati.
Aspetta aspetta. Torna un attimo indietro. Se lavoro per obiettivi vuol dire che non ha più importanza quante ore passo in ufficio?
Esatto. Questo è il vero valore aggiunto dello smart working. Significa restituire al lavoro tutta la dignità che merita, perché non importa quanto tempo sei stato in ufficio. Importa la qualità del tuo lavoro.
E magari avrei anche un effetto benefico sull’ambiente?
Certo. Meno persone che vanno a lavoro in macchina, meno traffico e anche meno incidenti e meno infortuni. È quel che gli economisti chiamano esternalità positiva, un effetto positivo indiretto.
Alla fine mi stai dicendo che sarei uno stimolo a rendere i posti di lavoro più tecnologici e a far ridisegnare i processi lavorativi in modo tale che si possano eseguire in smart?
Esattamente. Se io fossi un decisore politico, non mi farei sfuggire l’occasione, appena passata l’emergenza, per ridisegnare immediatamente tutta la disciplina dello smart working, facendo tesoro di questa brutta esperienza. Se fossi un manager mi metterei subito a pensare a come ridisegnare gli spazi e a come introdurre strumenti di collaboration.
Che cosa sono gli strumenti di collaboration?
Sono strumenti che ti permettono di lavorare anche in team e interagire con i colleghi, fare videoconferenze, lavorare insieme a uno stesso documento in tempo reale, condividere materiale etc.
Wow! E tutto questo lo fanno anche nelle Pubbliche Amministrazioni?
Soprattutto. Secondo il Politecnico, in un anno nelle PA i progetti di Smart Working sono passati dall’8% al 16%. I passi più lunghi li hanno fatti le PA di grandi dimensioni, che nel 42% dei casi hanno già introdotto iniziative strutturate e nel 7% hanno attivato iniziative informali. Tuttavia, dai dati raccolti in questo studio ci sono ancora 4 PA su 10 che non hanno progetti di Smart Working e sono incerte (31%) o addirittura disinteressate (7%) rispetto alla sua introduzione.
E in Calabria?
Non lo so.
Come mai non lo sai?
Non so sempre tutto. So che non esiste ancora un sistema di monitoraggio centralizzato per raccogliere e approfondire i dati sulla diffusione dello smart working nel nostro Paese.