E’ come vivere sospesi. In una sorta di bolla irreale. Per strada poca gente, nei bar quasi nessuno, traffico automobilistico finalmente ottimo con scuole e università chiuse. Arrivano email e messaggi a valanghe di eventi annullati o rinviati. Convegni, concerti, presentazione di libri: non c’è piu’ nulla.
Non c’e’ vita sociale e dilaga di conseguenza la comunicazione sui social. Facebook e Istagram, per non parlare di wp, sono intasati come non mai fin da mattina presto. Argomento ovviamente sempre lo stesso.
E’ così la nuova vita ai tempi del coronavirus. Circolano nuovi decaloghi su come passare il tempo, tra buone letture e visite nei piccoli paesi. Altri, tra il serio e il faceto, suggeriscono visite al Santuario di San Francesco a Paola. Non mancano le inevitabili calunnie ed offese persino, per chi si è beccato il virus, o le preoccupazioni (fondate) per i tanti che torneranno dal nord senza che ci sia qualcuno che li controlli, alla partenza come all’arrivo.
Si incrociano poi le dita (e tant’altro) pensando allo stato in cui e’ stata lasciata la nostra sanità pubblica, i nostri ospedali dopo 10 anni ininterrotti di commissariamento deciso e sempre rinnovato (con relativa nomina del Commissario) da tutti i governi nazionali che in questi dieci anni si sono succeduti in Italia. Si fanno i conti sui posti letto disponibili (pochissimi) nei reparti di emergenza. Si rinviano visite per esami palliativi nei nosocomi e anche negli studi privati dei medici. Anche gli incontri scientifici sul virus previsti nelle sale pubbliche si svolgono in diretta sulla pagina Facebook, come ha fatto ad esempio il dott. Rubens Curia portavoce di "Comunità Competente".
Nelle case è partita la scuola a distanza o i vecchi ripassi di un tempo, con mamme e padri che cercano di far quadrare un improbabile cerchio e nonni assoldati per la bisogna.
Si vive – diciamolo con chiarezza – anche da noi con la paura, nell’incertezza di quello che potrà accadere, sperando che non ci sia anche da noi un innalzamento del numero dei contagiati. L’angoscia è doppia, tripla per chi ha parenti al nord, figli e nipoti soprattutto. Le raccomandazioni via filo e web si sprecano e non si sa che fare se non sperare che tutto passi. Ma in fretta non può passare! Quello che non passa certamente è il dilagare dei tuttologi: tutti diventati virologi o matematici, con analisi e curve di probabilità da far paura, con in mano estratti di riviste scientifiche in inglese se non in tedesco spacciate sulla inconsapevole rete per nuove anche se sono vecchiotte da un po’ di tempo! E tutti sono anche prodighi di raccomandazioni a noi giornalisti: fate i bravi, fate i seri, fate le inchieste, etc etc.
Che volete, è così la vita ai tempi del nuovo virus. Magari se tutti potessero leggere, o rileggere, le raccomandazioni fatte dal prof. Domenico Talia non sarebbe male. Non diventeremmo tutti nuovi Newton o Galilei, non inventeremmo nulla, ma chissà … saremo alla fine diventati tutti piu’ buoni, come suggerisce anche il sempre grande Franco Arminio: Non pensate a chi vi può contagiare. Pensate a chi potete guarire. Predicate che ci vuole un altro mondo, ora è più facile mettere le fondamenta per la nostra nuova casa nel mondo. Essere attenti è una virtù bellissima se accompagna alla dolcezza. Lavatevi le mani, mandate carezze usando la rete. La questione è virale, ma è anche teologica. La vicenda terrena è misteriosa, lo era anche prima del virus. Se non potete stringere la mano agli uomini, stringetela a Dio.
E che Dio ce la mandi buona.