Da un punto di vista etico l'aborto porta con sé la tragedia della scelta, il salto - anche religioso - che (non) congiunge il sì e il no, la vita alla morte, e si carica di responsabilità con qualunque esito.
È in gioco pienamente la Persona, il suo destino, quindi.
Da un punto di vista giuridico - nelle democrazie avanzate - l'aborto legalizzato inerisce la salute fisica e psichica della donna, riguarda la sfera dell’integrità del corpo e della mente, salvaguarda la sicurezza delle procedure e tecniche una volta esercitata - in libertà - la decisione sul caso d'eccezione sofferente.
Come è chiaro, quindi, è improprio definire l'aborto come un "diritto soggettivo", nel senso cioè di una pretesa incondizionata che trova conferma autoritativa - o diniego - nella Legge; è più giusto inquadrare il fenomeno sociale in un contesto giuridico più "generale" e più "mite", nel quale la legge e le sentenze intervengono necessariamente - a seguito della sedimentazione del dibattito pubblico informato - per mitigare, per sterilizzare gli aculei delle ideologie contrapposte, delle teologie politiche in conflitto, dei moralismi ghettizzanti speculari.
E proprio per questo la recente pronuncia della Corte Suprema americana rappresenta un vulnus, un passo indietro.
La precedente giurisprudenza, infatti, riconosceva il rapporto inestricabile tra aborto, scelta e Persona e attraverso il diritto alla salute, alla autodeterminazione, alla libertà del corpo e della mente, sottraeva questa questione al solo "decisionismo statuale", alla Norma imposta da questo o quello Stato americano, inserendo pienamente il fenomeno tragico dell'interruzione della gravidanza all'interno delle garanzie costituzionali, impedendo le estremizzazioni proprie dell'arbitrio, della forza, del gioco proprio delle maggioranze variabili, dello scontro ideologico esercitato sulla pelle delle persone.
Persone magari costrette ad emigrare per evitare "mammane", cliniche clandestine, il turpe guadagno sulla "differenza" che si ingenera sempre dove c’è proibizionismo. Proibizionismo che, appunto, è sempre "classista", sempre ingiusto: perché saranno solo i poveri e gli emarginati a subire il nuovo diktat, il nuovo diniego.
Un nuovo proibizionismo che non farà diminuire i "numeri" ma farà esplodere le illegalità ingenerate da un sistema criminogeno che - di fatto - "liberalizza" l'aborto "ab-norme" impedendo quello giuridificato e, quindi, controllato e sicuro.
La Corte Suprema a trazione "conservatrice" dice, quindi, che l'aborto - come questione, dilemma, travaglio, cimento - non è un problema costituzionale e, con ciò, afferma in ultima istanza che non è affare propriamente della donna, della Persona, del suo vissuto, del futuro. L'aborto, in tal senso, trascende corpi e anime, tragedie, scelte, colpe, ansie, possibilità, liberazione o tormento; l'aborto riguarda la "Dottrina di Stato", è affare pubblico, provoca la Volontà Generale incardinata in una Legge Etica che risolve imponendo un criterio per tutti, un sistema propriamente collettivo, nazionale, tradizionale.
Un sistema che legittima le "differenze" all'interno della Federazione Americana.
E ciò perché non esiste l'aborto in quanto tale (nelle sue articolazioni esistenziali) ma l'aborto texano, quello del New Jersey etc.
E', a bene guardare, il trionfo dell'etnico sull'etico, dello statalismo sulle libertà individuali, della Norma decisionisticamente imposta - come Giusta e Razionale - sull'evoluzione spontanea del Diritto chiamato, nella modernità liberale, a giuridificare i fatti per tutelare e proteggere le Persone.
Hanno ragione gli interpreti che hanno parlato di crollo dell'Occidente, di tradimento della Democrazia, di ritorno all’Autorità dispotica contro l'autorevolezza di una disciplina fondata non sull'imposizione ma sulla libertà di scelta.
Non conta, infatti, ciò che è giusto o sbagliato in sè - perché questa dialettica riguarda il foro di ogni coscienza innanzi al baratro intimo di Dio o della sua Negazione - ma ciò che è possibile o necessario per l'Altro, per chi è diverso da me, per chi crede diversamente, per chi soffre mentre io gioisco, per chi trema mentre io pontifico, per chi crolla mentre io trionfo, per chi cerca aiuto mentre io giudico.
Contro tutto questo che davvero conta, contro questo spirito "religioso" sottile e "aperto" al sentimento tragico di ogni vita, si è pronunciata la Corte Suprema, tradendo ovviamente lo Spirito d'America e provocandone il più bel riflesso: quella "disobbedienza civile" contro il sopruso dell’Autorità che - aiutando lo Stato ad emendarsi attraverso la protesta e la proposta - prepara il Diritto del futuro.
Enzo Musolino