di DOMENICO LUPPINO - Nascere in un determinato luogo significa, tra le altre cose, essere condizionato da una serie di vincoli che, in qualche modo, ti legano a quel posto. Non ultimi, quelli affettivi. Inoltre ci sono dei condizionamenti di tipo patrimoniali (lavoro, “roba“, etc.). Ed ancora, quelli che derivano direttamente dalla mancanza di coraggio per scegliere altri contesti dove vivere. Questi ultimi, forse, sono i peggiori. Il luogo in cui si è nati e vissuti, infatti, anche il peggiore, fornisce una infinità di certezze, di sicurezze, di punti di riferimento, che risultano difficili da abbandonare. Si innesca, quindi, un meccanismo mentale che porta a ritenere un luogo conosciuto, nonostante se ne riconosca la drammaticità, più sicuro di un altro di cui si hanno notizie migliori.
Persino le donne e gli uomini migranti, che sbarcano sulle nostre e su altre coste, forse si sono lasciati alle spalle una pur minima certezza, per andare incontro, in parecchi casi, ad un destino peggiore di quanto non fosse già nel loro posto di origine. Tanto che, per una volta, verrebbe da soffermarsi a riflettere, non su quelli che hanno deciso di andare via, ma sui tantissimi che sono rimasti. Quale delle due scelte è stata migliore?
Ovviamente, non c’è una risposta a questa domanda, non è possibile generalizzare. Ogni caso dovrebbe forse essere trattato singolarmente, ma ciò risulta impossibile. Una cosa è certa, però, chi decide di andare via lo fa sperando di andare incontro ad una vita migliore. Quindi, partendo, ammette che non potrà esserci una condizione peggiore di quella in cui ha vissuto fino a quel momento. Di questa fattispecie, possono essere individuati una infinità di esempi. Dagli emigranti del Sud d’Italia, i nostri emigranti, che per oltre un secolo si spostarono in ogni parte del pianeta, fino ai nuovo migranti, che partendo dai vari Sud del Mondo, cercano di raggiungere il “ricco” e “felice“ Occidente.
Ci sarebbe da discutere molto su quanto questa scelta, per molti, risulti compatibile con le aspettative che si avevano al momento della partenza. Questa considerazione vale oggi, come ai tempi della emigrazione dei nostri nonni. Le sofferenze, infatti, a cui sono sottoposti i popoli migranti, vecchi e nuovi, non sono mitigate dal benessere raggiunto dai loro nipoti. Così come, le pene, dei nuovi erranti, non sono affatto attenuate dalle “attenzioni” che le moderne ed evolute società del benessere, ripongono nei loro confronti. Se ne può trarre, dunque, la conclusione: chi lascia è destinato comunque a patire delle sofferenze, grandi o piccole che siano.
Tuttavia, c’è un aspetto sul quale si potrebbe e si dovrebbe riflettere. Chi decide di abbandonare, di andare via, più o meno implicitamente accetta il dato che egli, e con lui la gran parte della società a cui appartiene, non potrà mai incidere sul contesto in cui vive, a tal punto da sperare di modificarlo in meglio. Ed ancora, di più accetterà questo assunto, se egli si è impegnato, si è reso parte attiva e protagonista di un qualche tentativo di cambiamento della società in cui ha vissuto. Uno sconfitto, insomma.
Ieri sera, mentre in tv, sul primo canale nazionale ed in prima serata, si raccontavano le vicende narrate nel romanzo “Il giudice meschino “ di Mimmo Gangemi. Dove immagini, personaggi e vicende erano verosimilmente riferirete alla realtà della provincia di Reggio Calabria. Nella realtà, quella che stava oltre le stanze in cui molti di noi stavano davanti all’apparecchio televisivo, accadevano negli stessi istanti dei fatti criminali e violenti. Mentre ognuno di noi si compenetrava nella finzione della fiction, nella stessa piccola città di provincia, qual è Reggio Calabria a dispetto del pomposo titolo di Città Metropolitana, un ordigno faceva saltare in aria una attività commerciale nel centro della città e in un rione periferico, un uomo veniva assassinato a colpi d’arma da fuoco.
Ogni altra considerazione e commento risultano inutili, superflui. Chiunque di noi ha rispetto per se stesso e, soprattutto, per i propri figli, dovrebbe lasciare, abbandonare, diventare migrante. Qualunque potrà essere la sofferenza a cui va incontro, compresa quella morale, sarà poca cosa rispetto a vivere di questa realtà.