REGGIO. Chiuso il Museo (Bronzi a parte) fino a data da destinarsi

REGGIO. Chiuso il Museo (Bronzi a parte) fino a data da destinarsi

museo      Non si capisce bene di chi è la colpa; anzi, di chi sono le colpe. Né dove sono esattamente gli ostacoli e cosa si potrebbe fare per farli saltare. Si capisce bene, invece, chi sono le vittime: la Calabria e la città di Reggio. Si capisce meglio quanto sia sprovveduto (nell’ipotesi più “debole” e meno maliziosa) il blocco politico-burocratico che dovrebbe funzionare da traino e invece non è c***o suo. E si capisce, soprattutto, che ormai sulla pelle del paese è stata costruita una ragnatela di interessi e poteri corporativi che lo soffocano, lo paralizzano e sembrano condannarlo a un degrado tragicamente ineluttabile (dal quale solo loro estraggono vantaggi).

La notizia è secca. Il Museo di Reggio aprirà a data da destinarsi. Ufficialmente, calcoli alla mano, alla fine del 2015. Ma solo se funzionasse come comanda Dio, non in una terra che sembra esserGli scivolata dalle dita.

Ci si dovrà accontentare delle due stanze che ospitano i Bronzi. Certo, da soli valgono la visita. Assolutamente vero.

Ma perché dobbiamo rinunciare ad aprire le porte chiuse dietro le quali, chissà in quali condizioni, c’è uno dei più grandi patrimoni esistenti al mondo della cultura magnogreca, il fondamento della civiltà cui viviamo?

Sul Museo di Reggio gli elementi del dramma italiano che in Calabria si inasprisce in tragedia ci sono tutti. In aggiunta c’è il ridicolo delle nostre pretese, la retorica soporifera della bellezza che però non diventa mai sviluppo degli intellettuali ammuffiti, l’agitarsi di furbizie sui particolari mentre la casa brucia.

Il Presidente Scopelliti fa le conferenze stampa per annunciare accordi per fare arrivare turisti che vogliono visitare i Bronzi e il Museo. Nelle stesse ore diventa ufficiale: il Museo, Bronzi a parte, non c’è più. Non sarà magari colpa sua, chissà! Ma non ci vuole la palla di vetro per capire che qualcosa di molto profondo e distorto non va. E tra quello che non va, c’è la Regione Calabria, il suo assessorato alla cultura, l’incapacità di rovesciare l’immagine di questa terra.

C’è uno scontro tra due ditte su chi debba accaparrarsi i 5 milioni dell’appalto per sistemare le sale del Museo. Rinvii contro rinvii sulla cui responsabilità non sappiamo altro se non che i responsabili (da qualche parte annidati) continueranno placidamente (e retribuiti) a occupare poltrone politiche e burocratiche da cui gestiscono lo sfascio (spesso guadagnandoci). Il Tar ha fissato l’ennesima causa per luglio.

Difficile accettare un rinvio tanto lungo su interessi collettivi di straordinaria importanza. Né sappiamo quanto pesi in queste lungaggini l’idea che in Calabria non c’è niente d’urgente perché tanto non c’è più niente da fare. Tanto vale che ognuno faccia i propri comodi. Nessuno ha l’autorità per alzare la voce. Qui, tutti anatre azzoppate.

Chi volete che s’indigni?

La città sciolta per mafia è frastornata. Si difende dalla puzza dei rifiuti e dalla paura delle bombe. La Regione vive col fiato sospeso. Perfino il Governatore (a cui il leghista Zaia, beffardo, consiglia di portare i libri in Tribunale) sembra non escludere che in questa regione, dove unico caso in Europa una grande capitale è stata sciolta per mafia, lui possa essere “costretto” a candidarsi alle europee, mentre infuria lo scontro sordo su un nuovo vice presidente per la reggenza dell’eventuale sede vacante.

L’opinione pubblica si mobilita. Naturalmente via facebook, seduta comodamente a casa. Accuse, contraccuse, indignazione, insulti, crescono si moltiplicano e gonfiano i petti e il web con la fantastica genialità che compensa decenni di rinunce.

Nessuno invece pare abbia un’idea, un progetto, una via d’uscita dal disastro verso cui corriamo disperati. (alva)