La grazia, la pena di morte e la mitezza ambigua della Calabria

La grazia, la pena di morte e la mitezza ambigua della Calabria

monella    di MASSIMO ACQUARO -

La Calabria, é noto, é una terra difficile. Gli uomini sono, talvolta, feroci e consumano vite come fossero fiammiferi. Parole come riconciliazione, perdono, oblio sono difficili da declinare al di qua del Pollino. In tanti, forse troppi, sono convinti e sostengono da anni da posizioni autorevoli che la questione calabrese  (l'ultima scoria di quella meridionale) richieda una rivoluzione culturale, un mutamento delle coscienze. Ecco perché tutto ciò che accade nel paese in Calabria assume un suono particolare. Come una moneta che rimbalzi in un secchio, il rumore delle cose "di fuori" si spande tra i calabresi in modo strano, difforme, quasi deformato. La calabresitá trascolora, deforma, aggiusta i fatti e la loro percezione.

Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha firmato il decreto con cui è stata concessa ad Antonio Monella la grazia parziale di due anni di reclusione. Significa che l'uomo di Arzago d’Adda, condannato a sei anni e due mesi per avere ucciso un ladro, in una notte del settembre 2006, potrà lasciare il carcere. Antonio Monella aveva sparato ad un ragazzo albanese di 19 anni che aveva sorpreso nel giardino di casa mentre stava cercando di rubargli la Mercedes. Alcune forze politiche hanno applaudito e non è emerso alcun dissenso. L'iniziativa del Quirinale ha spiazzato tanti che, per ora, stanno in silenzio. É troppo forte l'eco di altre rapine, altre aggressioni, altre vittime per non capire e, forse, giustificare. Da calabresi dovremmo essere un po' più contenti degli altri. Cavolo in fondo si é fatto giustizia da sé, é il motto di tante faide, vendette e guerre combattute dai calabresi.

Si dice che sia arrivata l'ora di garantire a tutti il diritto di sparare se qualcuno entra in casa per rubare.  Potenti forze agitano questo spettro e trovano consensi al Nord ed al Centro Italia funestati ogni notte da dozzine rapine e furti in appartamenti. Ma non in Calabria, per fortuna. Nessuno, mi pare, sostenga cose del genere in Calabria. Saremo anche violenti, ma la nostra asticella é un'altra, la cifra della violenza é un'altra  odiosa e terribile, ma diversa. Punire con la pena di morte il furto in casa (a questo equivarrebbe la licenza di sparare) ci sembra un follia, un'esagerazione ingiustificata. La "roba" non merita la morte. Alla fine, forse, quelli da rieducare non sono i calabresi, ma un certo modo di intendere la vita che appare talvolta lontano da ogni misura e ragionevolezza.