SISTEMA RENDE. I pericolosi intrecci tra 'ndrangheta e politica e il ruolo di Principe

SISTEMA RENDE. I pericolosi intrecci tra 'ndrangheta e politica e il ruolo di Principe

Sandro-Principe   di SIMONA MUSCO

No ma a me mi deve dare i soldi…. Omissis…. Cento carte e facciamo quello che volete!!!(…) In silenzio sempre noi… come abbiamo sempre fatto». Centomila euro per sostenere Sandro Principe. È questo il messaggio che Adolfo D’Ambrosio consegna in carcere al figlio, un messaggio da riferire al leader incontrastato della politica rendese, che aveva chiesto appoggio al clan Lanzino-Ruà. È un quadro desolante quello dipinto dal gip Carlo Saverio Ferraro, che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare per dieci persone che su richiesta dei magistrati antimafia Vincenzo Luberto e Pierpaolo Bruni ha fatto finire in carcere, tra gli altri, oltre all’ex sottosegretario di Stato ed ex sindaco di Rende, anche un ex consigliere regionale della Calabria, Rosario Mirabelli, l'ex sindaco di Rende, Umberto Bernaudo, l'ex consigliere provinciale Pietro Ruffolo e l'ex consigliere comunale di Rende, Giuseppe Gagliardi. I reati contestati a vario titolo sono concorso esterno in associazione mafiosa, voto di scambio, corruzione. Sono le dichiarazioni dei pentiti e le intercettazoini ambientali a far emergere un sistema collaudato, avviato a partire dai primi anni 2000, che vede al centro di tutto, scrive il gip, un legame storico tra l’intero gruppo criminale Lanzino-Ruà e l’onorevole Principe. Un «effettivo e produttivo impegno elettorale» quello a favore dell’ex sindaco, che avrebbe fruito dei favori degli esponenti del clan che agivano «in modo “silenzioso”, accorto, al fine di non compromettere i politici favoriti».

 Il “leader maximo” - Senza Sandro Principe nel Municipio di Rende non si muoveva foglia. Dicono questo, tra le righe, i magistrati della Dda catanzarese, che lo mettono al centro di qualsiasi iniziativa elettorale. Che fosse o meno lui il candidato da aiutare, era Principe a gestire i giochi politici rivolgendosi agli uomini del clan per raccogliere voti. E il clan, da parte sua, faceva quanto richiesto, in cambio di assunzioni clientelari, agevolazioni e aiuti per attività commerciali. Anche i manifesti, a Rende, erano roba del clan. Che fosse o non fosse il sindaco, senza la sua autorizzazione, scrive il gip, «nulla poteva essere deciso nell’ambito dell’amministrazione comunale di Rende». Ma nelle maglie della Dda non si incastra solo Principe. Anche Umberto Bernaudo e Pietro Paolo Ruffolo, candidati al Consiglio provinciale di Cosenza nel 2009 nella coalizione facente capo a Principe, all’epoca rispettivamente sindaco e assessore di Rende, avrebbero ottenuto, secondo gli inquirenti, la promessa e il conseguente impegno elettorale da parte del clan, che per loro conto avrebbe procacciato voti. A impegnarsi, oltre ad Adolfo D’Ambrosio, ci sarebbero stati anche Michele Di Puppo, Francesco Patitucci e Umberto Di Puppo.  E la cosca, intanto, ingrassava grazie a «condotte procedimentali amministrative di favore contrarie ai doveri d’ufficio».

Gli “aiutini” alla cosca - Giuseppe Gagliardi, consigliere comunale di Rende dal 2006 al 2011 e assessore ai lavori pubblici nel 2011, secondo gli inquirenti avrebbe promesso di impegnarsi, anche tramite Principe, affinché D’Ambrosio venisse risarcito dal Comune per i danni causati dall’alluvione al Bar Colibrì nel marzo 2011, ricevendo «quale corrispettivo» la promessa di «impegno elettorale e il successivo procacciamento di voti da parte di D’Ambrosio a proprio favore e a favore della coalizione di Principe per le comunali 2011 a Rende». Sarebbe stato lo stesso Principe a sollecitare il dirigente preposto al settore affinché quel venisse assegnato ai coniugi D’Ambrosio, unici partecipanti alla gara, accordandosi poi con D’Ambrosio stesso affinché non pagasse i canoni spettanti al Comune, attraverso un’operazione di compensazione del relativo debito con delle opere che D’Ambrosio compiva senza autorizzazione. Un’operazione di scomputo frutto di un accordo tra Principe e l’allora sindaco Bernaudo che aveva fatto diventare i coniugi D’Ambrosio da debitori a creditori dell’Ente. Ma non solo: il clan al Comune era di casa. Tant’è che Principe avrebbe avallato l’assunzione di D’Ambrosio, quale lavoratore lsu part-time. Una collaborazione sospesa dopo il suo coinvolgimento nell’operazione “Twister”, con l’accusa di 416 bis, e ripresa sempre grazie al duo Principe-Bernaudo, che ne avrebbero favorito la riassunzione con un premio: l’aumento delle ore settimanali da 18 a 24. Principe, scrive dunque la Dda, «si poneva a disposizione di D’Ambrosio e prometteva, in cambio dell’impegno elettorale da parte di quest’ultimo a favore della coalizione del Principe medesimo, di attivarsi per sollecitare agevolazioni pubbliche da parte del Comune di Rende a favore della cooperativa Europa Service 2010, sostanzialmente e realmente rincoducibile a D’Ambrosio Adolfo». Inoltre, a godere dei favori fu anche Francesco Iirillo, figlio di un esponente di vertice della cosca Lanzino-Ruà, Giuseppe Iirillo alias “a vecchiarella”, assunto indebitamente quale nuovo presidente del circolo “Anziani e giovani” di Rende. Lo stesso Giuseppe Iirillo che, nel 2002, era stato anche assunto nnella cooperativa Rende 2000, assieme ad altri 23 dipendenti risultati legati da vincoli di parentela o contigui alla cosca, i quali si attivavano nella propaganda a favore di Principe e compagni. Nuovi lavoratori, pregiudicati appartenenti o contigui al clan, furono assunti anche nella società in house “Rende servizi Srl”, diventando di fatto dipendenti pubblici, mentre Michele Di Puppo veniva fatto assumenre nella coop “Rende 2000”. Un quadro desolante completato dall’assunzione, sempre presso “Rende 2000”, del capo clan Ettore Lanzino. Rosario Mirabello, infine, candidato al consiglio regionale nel 2010, avrebbe promesso, tramite Marco Paolo Lento, condotte di favore nei confronti di Di Puppo e nei confronti del clan, in cambio del suo impegno elettorale.

Le dichiarazioni dei pentiti - Sono state le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia – Pierluigi Terrazzano, Roberto Violetta Calabrese e Adolfo Foggetti -, a fornire elementi per ricostruire i rapporti tra i politici e la cosca Lanzino-Ruà. Terrazzani raccontò di aver incontrato Principe e tale Franco Santelli, fratello di un dirigente comunale, alle piscine comunali di Quattromiglia di Rende, in occasione della campagna elettorale per l’elezione a sindaco di Rende nel 2011.  Santelli avrebbe riferito a Principe che la famiglia Terrazzano disponeva di un notevole bacino di voti e quindi «entrambi si dimostrarono interessati a ricevere i nostri voti, anche perché sia Santelli che Principe erano ben consapevoli del fatto che noi avremmo mosso e orientato i voti della criminalità organizzata, di cui noi facevamo parte o comunqe di cui eravamo vicini, quali Adolfo D’Ambrosio e Umberto Di Puppo, i fratelli Provenzano, la famiglia Terrazzano». Il candidato da appoggiare era Cavalcanti, secondo quanto indicato da Principe. D’Ambrosio, però, aveva deciso di assumere un atteggiamento prudente, facendo apparire, «per evitare accertamenti da parte della Magistratura e per deviare questi ultimi, che invece facesse campagna elettorale per l’avvessario di Cavalcanti». Dopo essersi impegnati a favore di questi, «Principe, a fronte della nostra disponibilità chiese ad un suo collaboratore di scrivere il mio nome su un’agenda affinché venisse inserito tra coloro i quali avrebbero ricevuto un posto di lavoro presso l’Interspar a Rende, a fianco alla palestra Scorpion, quale magazziniere».

L’alter ego del boss - D’Ambrosio sarebbe stato, secondo il pentito Calabrese, «l’alter ego di Ettore Lanzino» nel periodo della sua latitanza. Il bar gestito da D’Ambrosio, ha riferito il pentito, sarebbe stato di fatto «una concessione-erogazione dell’onorevole Sandro Principe. Aggiungeva che qualora avessimo avuto bisogno l’onorevole Principe era a disposizione. La concessione afferente il bar era una sorta di corrispettivo in quanto il D’Ambrosio e la cosca Lanzino avevano sostenuto la campagna elettorale dell’onorevole Principe attraverso il procacciamento dei voti, propaganda elettorale compresa l’affissione dei manifesti – si legge nell’ordinanza -. In tale occasione, il D’Ambrosio mi riferì che se avessi procacciato voti per Principe, lo stesso Lanzino Ettore ne sarebbe stato molto contento. Il bar, oltre a costituire una sorta di corrispettivo per la persona del D’Ambrosio stesso, era anche un punto di ritrovo per i membri della cosca, in quanto, come è accaduto nelle circostanze in cui sono stato testimone, spesso ci si ritrovava lì a discutere ovvero come base per organizzare degli appuntamenti in alto luogo»,

Un punto di riferimento – L’impegno del clan in favore di Principe e dei suoi candidati, racconta ancora il pentito, trovava spiegazione nel fatto che «quando aveva ricoperto cariche pubbliche, ovvero quale leader politico di coalizione quando candidati erano suoi uomini, aveva favorito e favoriva la cosca nel suo complesso oltreché esponenti di primo piano della cosca medesima». Tra questi favori anche l’assunzione nella cooperativa che si occupava della pulizia delle strade di Ettore Lanzino e altri soggetti contigui alla cosca. Il vantaggio per il clan stava nel fatto che parte delle retribuzioni «confluivano nella bacinella della cosca, infatti nessuno dei dipendenti si poteva sottrare a finanziare forzosamente le casse della cosca medesima».