Un percorso nel tempo. Questa è la prima impressione ricevuta nelle sale del Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria, rinato nell’aprile del 2016 in seguito all’autonomia gestionale coordinata dal direttore Carmelo Malacrino e ai lavori di modernizzazione della struttura pensata dall’archeologo Paolo Orsi. Con i bronzi di Riace non più al centro dell’esposizione ma pensati come tappa finale del viaggio nel passato. I visitatori nel 2017 sono stati oltre 215 mila. Si attendono i dati del 2018…
Numeri che seguono le buone performance di altri musei in Italia negli ultimi due anni. Certo le cifre sono importanti e testimoniano l’attrattività delle collezioni. Ma da soli dicono poco, «ora che si tende a considerare il museo un mero contenitore di oggetti. Per giudicarne la qualità sono diversi gli indicatori da tenere presente», fa notare Maurizio Assalto su La Stampa. Un museo deve essere in grado di promuovere ricerca e approfondimento. Qui a Reggio Calabria è forte lo stimolo fornito al visitatore durante l’intero percorso espositivo – diviso su quattro livelli, ben illuminato e segnalato – con descrizioni, foto, ricostruzioni 3D, video e giochi multimediali.
L’esposizione museale
Si parte dalla Preistoria con reperti provenienti dalla grotta del Romito in provincia di Cosenza, abitata fin da 24 mila anni fa, e dalla grotta di S. Angelo. Oggetti di uso quotidiano come lame e accette per la produzione agricola, ceramiche per conservare materiali e spille (fibule) per i vestiti. Poi l’età del Bronzo e del Ferro con segni tangibili dell’organizzazione militare, della lavorazione dei tessuti e della terra. L’arrivo dei Fenici, agli inizi del I millennio a.C., è testimoniato da esemplari oggetti provenienti dall’Oriente.
Ai navigatori fenici, che provenivano dall’attuale Libia, si affiancarono i Greci dell’Eubea fondando Reggio Calabria. In seguito, intorno al VII a.C., sbarcarono dal Mediterraneo gli Achei con gli insediamenti di Sibari, Crotone e Kaulon. Le popolazioni dei villaggi enotri sono assorbite nel nuovo ordine sociale delle colonie greche. «I colonizzatori greci scelsero territori fertili e occupati da comunità ben organizzate, ma troppo frazionate e divise per opporre una resistenza efficace. Gli aristocratici greci si sostituirono ai notabili enotri, assicurandosi il controllo del potere», spiega un pannello didattico del museo. Nella sala dedicata alle città della Magna Grecia è evidente come gli usi dei colonizzatori abbiano influenzato il territorio. Inizia l’emissione di monete a Crotone e Kaulon, l’artigianato artistico si eleva, la mitologia coinvolge la popolazione in riti e culti. Ne sono un esempio le Pinakes provenienti da Locri (alcune sono conservate in loco). Si tratta di tavolette donate a Persefone, figlia di Zeus, dalle fanciulle locresi in procinto di sposarsi. Significativi reperti sono colonne, statue, cornicioni dei templi e dei santuari greci costruiti nelle città dello Jonio. Cibo, mito, guerra e… cultura. A Locri si tenevano anche spettacoli teatrali – è possibile ammirare una riproduzione 3D del teatro di Epizefiri – che rientravano nelle cerimonie religiose in onore di Dioniso. Drammi e commedie. Musica e poesia. Ed epica.
Un museo che sta crescendo a vista d’occhio. Mentre i bronzi di Riace, su basi antisismiche, dormono sonni tranquilli.