«Mio padre fuma il suo sigaro dietro i vetri della finestra della clinica a lunga degenza che custodisce il suo silenzio. Ha diretto l’ufficio legale della vecchia fabbrica fino a quando hanno deciso di seppellire i laghi artificiali e disfarsi degli acidi sversandoli nella terra e avvelenando i corsi d’acqua- Aveva curato personalmente la gara di appalto per la bonifica dei siti, un imprenditore del Nord, leader del settore, aveva risposto al bando, ma la dirigenza ha legato i suoi passi e la sua lingua: Mimì Ferraro è stato accusato di estorsione e falso in atto pubblico e condannato senza appello. È un uomo fragile come un guscio d’uovo, mio padre. (…) Al processo, seduto al fianco dell’avvocato, Mimì disegnò forme di capre che non avevano nessuna attinenza con quello che era stato il suo mondo prima di quel giorno, e si lasciò portare via a capo basso senza neanche uno sguardo.»
La moglie, Margherita, «sopravvisse al processo e alla condanna, ma non all’assenza. (…) Qualche mese dopo, Margherita si allontanò con la Cinquecento rossa e il gatto Milù, e i Carabinieri, quando denunciammo la scomparsa, ci riportarono indietro solo la sua auto.»
Miriam, la figlia, resta con la nonna, Maria Schiavone, e con la famiglia del curatore dei conti di famiglia, Cecco Paone, Rebecca, sua moglie, e suo figlio Massimo: «Crescevo apparentemente sana, formavo palline di pane come mia madre ma non mostravo altri segni di squilibri: non avevo mai lasciato trapelare le caverne che la notte mi risucchiavano, solo Massimo sapeva: strappava agli strumenti note di struggente bellezza e si tingeva i capelli di grigio e attraversava la strada al mio fianco.»
Ormai laureata, Miriam trova lavoro nella fabbrica dove ha lavorato il padre, con l’obiettivo di trovare la verità sul silenzio di lui, sulla morte della madre (fatta passare come suicidio), e sull’inquinamento, non solo dell’ambiente geofisico, del territorio: «Sperpero di denaro pubblico che serve a creare reti sul territorio e a manovrare il voto degli elettori, coinvolge politici, massoni e persino la madre Chiesa, controlla con favori e lauti compensi la ‘ndrangheta. La centrale a biomassa è sorta sulle rovine della vecchia fabbrica: Mimì Ferraro, mio padre, ha trovato la sua morte civile nell’estrazione del tannino per la concia delle pelli. (…) La vecchia fabbrica si è fusa con la nuova e parte della memoria è andata distrutta in un incendio, ma altra se n’è aggiunta e il passato e il presente hanno finito col confondersi. Da dove arrivano i rifiuti? La centrale di biomassa lavora alacremente, ma i fuochi avvampano anche sulla collina.»
La strana morte di Massimo – «Nove anni di silenzi, di assenza, neanche un rigo, una telefonata e, poi, all’improvviso, un mattino presto me lo trovai di fronte. (…) Sul letto approdammo come animali nelle tane (…) I suoi occhi erano aperti quando ha frugato tra i miei capelli e tra le radici ha ritrovato il dolore di quei fili ribelli.» – spinge Miriam ancora di più nella sua ricerca. Cui partecipa, in parallelo, un’altra donna, Mairim, anche lei legata a Massimo. Mairim ha un passato che non ricorda, è stata restituita quasi morta dalle acque e scrive articoli che parlano di oscure operazioni tese a far nascere un grosso complesso edilizio su una collina disboscata, da cui tutti gli abitanti sono spinti ad andare via.
Il luogo in cui si svolge Il male in corpo di Marisa Fasanella, edito da Castelvecchi, è un paese avvelenato da un tragico inquinamento della terra, dell’acqua, dell’aria e anche delle umane relazioni abitato da persone segnate da un profondo disagio psichico. Per odi ancestrali, cumuli di inganni, avidità senza fondo né prospettiva vitale, follie serpeggianti, dolori che si sono morbosamente pietrificati nella carne e nella mente, stratificandosi in una cappa di grigio soffocante, lacerata da violenze che si inanellano l’una all’altra e da una serie di morti tutt’altro che normali.
La Calabria non è mai nominata. Ma è riconoscibile, in filigrana, sia nella sua dimensione oscura, sia nella forza di passioni irriducibili e nell’insopprimibile anelito di una giustizia che ripari i torti e medichi le sofferenze, riaprendo squarci di luce.
Il male in corpo, che rimanda, nei tanti eventi e personaggi delle sue oltre trecento pagine, ad atmosfere noir, ma con un di più di mistero e di non detto, ha il suo centro caratterizzante in un senso di dirompente e, insieme, soffocato disagio individuale e sociale: in una distanza dal bene che oscura ogni moto di coscienza e ogni aspetto della vita. Solo il difficile approdo alla verità può ridare colore ai volti delle persone e al territorio. Solo sciogliendo i nodi di un passato intessuto nei nostri passi si può assaporare il gusto di un nuovo inizio. «Il mare ha cantato di nuovo nelle mie orecchie – è il commento conclusivo di Mairim – È tempo di andare.»
Romanzo di intreccio complesso, che esplora i gorghi misteriosi dell’anima e ne svela, pudicamente, le nudità, Il male in corpo colpisce per la qualità della scrittura. Come ha osservato Stefano Giovanardi: «Quel magma linguistico che si intuisce incandescente si raffredda per l’intervento di una sordina psichica, che preferisce il non detto all’ostensione smaccata.»
Marisa Fasanella Il male in corpo, Castelvecchi, pp.314, euro 19, 50