LA RECENSIONE. Il violino di Charlie, Pino Macrì, Laruffa Editore

LA RECENSIONE. Il violino di Charlie, Pino Macrì, Laruffa Editore

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«Dal momento in cui il treno si era staccato dalla stazione di Quicellino, voleva sempre stare appiccicato al finestrino, a vedere e rivedere l’infinito susseguirsi di arenili e marine, sempre uguali a sé stesse, eppure sempre diverse, intervallate com’erano dalle poche case, che si affastellavano, disordinatamente, giusto in corrispondenza delle stazioni. Gerace Marina … Siderno … Roccella … Monasterace … il sole estivo di luglio che abbagliava ed esaltava al contempo le agavi con il loro fiore solitario proteso all’infinito nell’impossibile anelo a riprodursi.» Ha nove anni, Carlo, ed è la prima volta che prende il treno – quel ritmico “tu-tun tu-tun” che veniva da sotto il pianale lo incantava, e insieme stuzzicava il suo finissimo orecchio musicale» – prima tappa da emigrante verso il Canada e verso il padre, partito quando lui era troppo piccolo per ricordarne le fattezze. Caterina, la madre, aveva intrapreso quel viaggio, insieme ai figli, per allontanarsi dalle prevaricazioni del signorotto cui era a servizio e opporsi all’ «inalterabilità del destino. “Qui, chi nasce ricco vive e muore da ricco e chi nasce povero vive e muore da povero. Ma Vincenzo mio tutto questo non l’ha accettato. E nemmeno io lo accetterò mai!”».

Il violino di Charlie di Pino Macrì, edito da Laruffa, aggiunge, nella narrativa calabrese, tasselli importanti alla storia dell’emigrazione italiana del primo Novecento verso le Americhe. Al centro vi è la musica, con la grande importanza che essa ha rivestito nel percorso di autoaffermazione di alcuni meridionali emigrati nelle Americhe – tema ampiamente trattato da Mimmo Gangemi nel suo recente, grande romanzo Il popolo di mezzo, edito da Piemmee, ad essa, vi si affiancano almeno due tematiche principali di grande interesse: la forza delle madri, che diventa anche violenza distruttiva nei confronti dei figli, della loro libertà e autonomia, e l’amicizia tra bambini: fatta di niente più che qualche parola, qualche promessa e che aleggia, sacra, sull’intera esistenza. Elisa, bambina vivace, che si esprime in un vivido arbereshe, attraversa le pagine del libro con la sua purezza infantile non solo quando sembra scomparire dalla narrazione ma anche quando torna nelle pagine in una veste ben diversa.

Rientra al proprio paese, Carlo, prima, dopo la morte del padre, per volontà della madre – e si troverà a disagio sotto la cappa del regime fascista – e, poi, al seguito, come musicista, dell’esercito angloamericano: «Era la prima volta che Charlie vedeva e attraversava lo Stretto e per un curioso incrocio del destino, lo faceva dalla Sicilia alla Calabria, da Messina a Reggio e non viceversa, come sarebbe stato più “normale” per un calabrese. L’Operazione Baytown procedeva speditamente e lui faceva parte dei reparti canadesi inglobati nell’VIII Armata inglese, proveniente dalle operazioni belliche in Nordafrica prima e nella Sicilia orientale poi. Sulla nave che portava i militari canadesi verso il porto di Reggio, ormai messo in sicurezza, Charlie cercò un posto da cui potesse vedere la costa calabrese e si ci appostò a rimirare quello spettacolo della natura, quasi tremante per l’emozione. Man mano che il bastimento si avvicinava alla destinazione, il groppo in gola diventava sempre più ostico da mandar giù!”».

Si scopre, nell’intervista che chiude il libro, che la vicenda, pur romanzata, è vera. Merito dell’autore – cultore di storia risorgimentale e unitaria – aver portato alla luce un altro tassello, piccolo e interessante, del nostro passato recente.

Pino Macrì Il violino di Charlie, Laruffa, pag. 180