Mettiamola così: si vive di più, si nasce di meno e il mutamento tecnologico è sempre più veloce e invasivo.
L’effetto combinato di queste tre variabili sulla società italiana ha un esito certo: un futuro di analfabetismo funzionale, nuovo, diffuso su tutte le fasce sociali. Una sostanziale incapacità di utilizzare in modo efficace le tecniche, le opportunità e i linguaggi resi disponibili dalle nuove tecnologie.
Con un’aspettativa di vita media fissata a 82 anni, un crollo delle nascite del 30 % negli ultimi 12 anni, e una velocità di trasformazione tecnologica mai così alta, il mercato del lavoro e delle professioni sarà costituito nel prossimo decennio da ultra quarantenni praticamente privi di competenze adeguate alle possibilità offerte dalle nuove tecnologie.
Non è proprio un caso se, già da tempo ormai, organismi internazionali del calibro del World Economic Forum, avvertono che già “dal 2025, addirittura il 50% di tutti i lavoratori avrà bisogno di reskilling (ristrutturazione delle competenze) e il 40% delle competenze base degli attuali lavoratori cambierà”.
Intelligenza artificiale, Internet dei Sensi e, da poco, il Metaverso appaiono disegnare traiettorie tecnologiche destinate a rivoluzionare i processi produttivi, i modelli di consumo e la socialità.
Future generazioni costrette ad affrontare la frustrazione di un precocissimo invecchiamento delle proprie abilità professionali e a subire le innovazioni limitandosi, al massimo, a diventarne utenti inconsapevoli e addirittura incoscienti.
Cosa fare? Il modello di governance di questa tendenza richiederebbe uno sforzo di onestà da parte di tutti: dalle università alla politica, dalle famiglie alle imprese e alle forze sociali, Chiesa compresa.
Basteranno semplici piani di reskilling e di upskilling (aggiornamento delle competenze)?
Forse si, nel breve periodo. Ma ad un cinquantenne del 2030, già fuori dal mercato per obsolescenza delle proprie competenze, con trent’anni di ulteriore vita attesa, occorre dare una risposta diversa e più articolata.
Delle due l’una: o si condanna la società all’analfabetismo tecnologico funzionale o si cambia il modello sociale di produzione. Immaginare, oggi, carriere lavorative e contributive di 40 anni prima di andare in pensione è, praticamente, fumettistico. In quarant’anni, con l’attuale velocità di trasformazione, si succedono almeno quattro generazioni tecnologiche.
La discrasia temporale tra generazione anagrafica e generazione tecnologica va affrontata riducendo drasticamente la durata dell’impegno lavorativo attivo ed assegnando a queste risorse una funzione sociale diversa. Magari da inventare in tutti quei segmenti destinati al benessere, alla bellezza, al tempo libero, al turismo, alla memoria, alla cultura, all’ambiente.
Non esiste nessun piano di governo europeo, nazionale, figurarsi regionale, che affronti con coraggio questa drammatica prospettiva dell’analfabetismo funzionale diffuso che ci aspetta.
Il paradosso è che siamo coscienti di andare verso una società di “vecchi precoci” ma siamo, sostanzialmente, privi di un modello sociale di gestione della maggioranza della popolazione.
Sarà tempo di pensarci?