Sviluppo umano Vivere la Costituzione, la Scuola di fuoricollana e Itinerari e incontri. Il "Manifesto" scritto da Luigi Alfieri, Antonio Cantaro e Federico Losurdo. Faremo quello che potremo, arriveremo dove potremo arrivare, con tutti quelli che vorranno fare con noi una parte del cammino.
Siamo pieni di scuole di formazione, oggi. Enti e soggetti di ogni genere ne propongono in continuazione. Anche all’università, quando le infinite burocrazie e i limitatissimi fondi lo consentono. Una delle tante, la nostra? L’ambizione crediamo che debba essere diversa.
Non nel senso che faremo grandi cose. Faremo quello che potremo, non è questo il punto. Il punto è che non vogliamo fare una delle solite cose. Prima di tutto, non formazione. È un concetto alquanto prevaricante, quest’ultimo. Presuppone una netta distinzione di ruoli tra chi forma e chi deve essere formato, e di suo quindi sarebbe … malformato? Informe? Non ci piace questo modo di vedere le cose. Anche perché quando si tratta di formazione in generale si assume un piglio manageriale e si afferma di voler formare competenze, fornire professionalità, produrre “risorse umane”. Spendibili sul mercato del lavoro, si aggiunge di solito. E questo non ci piace. Non è una bella espressione, “mercato del lavoro”. Richiama molto l’immagine di un mercato di schiavi. E se si tratta di stare su un simile mercato, la formazione è una medaglia a due facce. Da una parte, nel migliore dei casi, informazione. Si spiega a qualcuno come fare delle cose utili, cioè delle cose che hanno un prezzo, e gli si forniscono le nozioni che potranno essere messe in pratica a tale fine. Ma nello stesso tempo, altra faccia della medaglia, c’è una componente di de-formazione. Bisogna togliere a qualcuno la propria forma per fargliene assumere un’altra, suscettibile di stare dentro uno stampo per produrre gente tutta uguale, tutta utile, tutta capace di fare le stesse cose. No, non ci piace.
L’ambizione è educare. E-ducere: tirar fuori, fare emergere ciò che stava dentro. Non c’è più lo stampo che fa le cose tutte uguali. Si fanno cose tutte diverse, quindi: ognuno a suo modo. Sarà poco utile, forse, ma non vogliamo essere utili. Con un po’ di enfasi, potremmo dire che non vogliamo servire. Non vogliamo essere servi. Educare è fare emergere la libertà di ciascuno di essere sé stesso, con gli altri. Perché non c’è individualismo, non c’è gerarchia. Informalità, forse anche un po’ di anarchia. Non si educa nessuno senza educare sé stessi. Non si educa qualcuno se non facendosi educare da lui. È un’operazione condivisa, un lavoro comune: e l’idea è quella della comunità, non del mercato. Una comunità civile, anzitutto. Una bellissima parola che ha diversi sensi. Prima di tutto, essere cittadini. Non è un dato anagrafico, essere cittadini, non dipende da quel che c’è scritto sul nostro passaporto o la nostra carta d’identità. Dipende dalla nostra partecipazione a ciò che, con termine antichissimo, si chiama cosa pubblica. O repubblica. Che non è (soltanto) il contrario della monarchia, è la condivisione di libertà e responsabilità. E di dignità, perché il cittadino è sovrano, è il supremo magistrato dello Stato. Ovviamente insieme agli altri, nel confronto e nella convivenza di idee anche molto diverse, anche confliggenti tra loro, ma all’interno di un quadro comune di regole condivise, la più importante delle quali è il rispetto per chi dissente da noi, e in questo senso essere cittadini significa prima di tutto essere civili.
A questo serve una costituzione. La nostra Costituzione, segnatamente. Che non è solo la legge fondamentale dello Stato. Tutti gli Stati hanno una o più leggi fondamentali, persino le dittature, e questo non basta a rendere il senso che il concetto di Costituzione possiede storicamente, da quando è nato un movimento costituzionalista, uno dei grandi sommovimenti politici internazionali da cui deriva il mondo in cui viviamo. La Costituzione è una cosa grande, e di fronte alle cose grandi non bisogna avere paura di essere un po’ retorici, le cose grandi non vanno d’accordo con le parole ciniche e rinunciatarie del buon senso quotidiano. La Costituzione è la suprema garanzia delle libertà civili, è ciò che delinea il quadro comune all’interno del quale possiamo essere tutti insieme cittadini, pur nelle nostre diversità e con i nostri conflitti. Ed è dunque, piaccia o non piaccia ai cultori delle teorie pure, il punto di coagulo storico in cui si unificano etica, politica e diritto. E, al di là delle regole e dei limiti formali che ne consentono e ne precisano le possibili modifiche, rappresenta un quadro complesso e delicato che non può essere manipolato a colpi di maggioranza senza mettere in pericolo, appunto, l’ordine della convivenza civile.
Quindi, educare, educarci alla Costituzione è uno dei nostri obiettivi. Ma in un quadro più vasto che non ha nessuna intenzione di rispettare steccati accademici. Nell’intento di difendere, e non solo all’interno dei confini nazionali, un quadro di convivenza civile, altre questioni sono altrettanto centrali e urgenti. La questione della guerra e della pace, la questione dell’opposizione alla violenza fanatica, la questione del confronto tra i diversi sistemi etico-religiosi che convivono nel mondo d’oggi, la questione da secoli, forse da sempre irrisolta del riconoscimento del femminile nella sua autonoma ma non separata dignità, la questione sempre più drammatica del lavoro, la cui tutela appare sempre meno compatibile con ciò che si cerca di far passare per “modernità”, sviluppo e progresso.
In quest’intento, la rivista on line “Fuoricollana”, rivista culturale e politica e sicuramente anche scientifica in un senso non piattamente accademico del termine, incontra e fa propri altri percorsi di ricerca, comunicazione e dibattito. Come l’associazione “Itinerari e Incontri”, che dal 1987 mette in dialogo laici e credenti di tutte le fedi nello sforzo di costruire un terreno comune di riconoscimento di valori e di promozione umana. Come l’Università per La Pace delle Marche e il CUG-Urbino (Comitato Unico di Garanzia per le pari opportunità) e altre associazioni civiche e politiche, quali la Scuola di Studi sindacali “Bruno Trentin”, l’Istituto Gramsci Marche, l’ISCOP Pesaro-Urbino, l’Anpi di Fano, Apriti Pesaro. Come il mondo universitario, nelle sue componenti più ribelli e resistenti agli sforzi di normalizzazione burocratica che accomunano tutte le presunte “riforme” che governi di ogni colore hanno affastellato nella singolare condivisione di una logica di efficientismo aziendalista che produce soltanto paralisi burocratica.
Non è poco, anzi è moltissimo, sicuramente è troppo per le nostre forze. Ma faremo quello che potremo, arriveremo dove potremo arrivare, con tutti quelli che vorranno fare con noi una parte del cammino.
*Luigi Alfieri – Antonio Cantaro – Federico Losurdo - Università di Urbino