Sua madre, Marinzaina, ha sei dita per mano, gioca con le biglie, accumula oggetti di ogni tipo ed spesso sopraffatta da onde che le scuotono la mente. Spesso si sente gravida di qualche carabiniere e partorisce angeli invisibili. Suo padre, Silverio, è «un mezzo prete pentito e un fornaio che regalava pagnotte ai poveri, finché aveva farina da impastare e soldi per comprarne, ma i soldi sono finiti prima dei poveri» e ha trovato lavoro come autista di ambulanze.
Ha due soli amici la piccola Francabbù: Marsol – «Il fratello mezzo muto me lo ha procurato mamma: lui era andato dai dottori a farsi sciogliere la lingua, e lei a convincersi che gli angeli non hanno bisogno della sua pancia per esistere. Sono usciti quasi sani dall’ospedale, e si tenevano per mano.» e Sarsì, una bambina cui manca l’aria e ha bisogno di portare la bombola d’ossigeno sulle spalle, cui fa da madre «suor Teresa di Cristo e basta!», che, rimasta senza consorelle, per lei si è tolta il velo e lavora giorno e notte.
È un paese come tante periferie marginali Sacrovento, il luogo dove abitano. Ci sono «tetti sfondati, erbacce sui ballatoi di case abbandonate, baracche di lamiera, viottoli polverosi al posto delle strade, campi splendenti di verde punteggiati di sacchi di spazzatura squarciati, bimbi soli che passavano le giornate a dipingere i gatti con certi colori indelebili rimediati frugando in mezzo ai rifiuti delle scuole.»
Francabbù oscuramente sa che «Non è giusto!», e a volte vorrebbe «una mamma che fa le torte e un padre che guarda le partite di calcio come tutti. (…) E davvero certi giorni mi sento una formica senza una fila da seguire per terra. Eppure resisto: l’ho imparato da mio padre che si può bere veleno senza morire, dunque intendo scoprire se papà mi insegna cose giuste, anche quando non le capisco.»
È il padre ad assicurarla che in lei non c’è nulla di difettoso e neppure nei suoi amici: «“Tu sei tutta giusta, perché sei creatura di Dio!” disse con la stessa voce di quando doveva correre al lavoro per salvare qualcuno. “Ma se sono giusta perché a scuola non lo sanno?” gli domandai. E lui mi spiegò che lo sapeva il Signore, ed era meglio. “Quindi io con la mia testa sono giusta come Marsol con la sua lingua, come Sarsì con la bomboletta e come mamma con tutte le sue dita?” cercai di capire. “Esatto!” annuì mio padre. Poi mi spiegò che essere giusta non significava essere il meglio, ma solo essere quello che si è. “Un gatto non si vergogna della sua coda, né un tacchino del suo becco” mi
spiegò papà. »
Con Una luce abbondante Sonia Serazzi – già autrice, tra l’altro, di Non c’è niente a Simbari Crichi e di Il cielo comincia dal basso (tutti editi da Rubbettino – firma un piccolo miracolo: un romanzo breve pieno di fantasia, con una scrittura densa ma con la leggerezza e l’armonia della danza, percorso da un profondo spirito cristiano: come un soffio di Vangelo, senza ombra di ideologia né di moralismi, senza pauperismi ma attento «a non sgualcire col giudizio la fatica di ogni esistenza che si dispiega come meglio può.»
Una buona notizia anche per la narrativa italiana.