FRUSCIO E PRIMIERA DA CARDANO A «OGA E MAGOGA», DI GIUSEPPE OCCHIATO
Tutta l’età di un uomo intera intera
Se la fusse ben quella di Titone
Non bastarebbe a dir della primiera
(F. Berni)
In Primaria pacta quaedam habentur communia:
… Non licet quicquam e ludo subtraere; …
Si punctum simplex fit, vel etiam superior, mutant semel chartas. Si adsit Primaria vel fluxus, ubi propalaverit fortis, fit Dominus. Qui admittunt quatuor res, seu chorum, non admittutnt supremum punctum et qui admittunt supremum punctum, non admittunt chorum.
(G. Cardano, De Ludo aleae liber, caput XVIII)
Ammenzu a mari ‘nc’è ‘na villanova
Ma mi si rriva ‘nci voli la vela
Ddha intra ‘ncesti ‘na beddha figghjola
Li turchi si la jocanu a primera
(canzone popolare calabrese)
UNO. Appunti per una storia di fruscio e primiera
Girolamo Cardano, Pavia 1501 – Roma 1576) fu matematico, medico e fisico di vaglia in un secolo, il XVI dell’era volgare, che si suole identificare come quello del Rinascimento e che fu rilevantissimo per i destini della scienza dei secoli successivi; una sua opera, in cui molti suoi saperi finiscono per intrecciarsi, si intitolava ««De ludo aleae liber» e, uscita postuma nel 1667, conteneva alcuni capitoli dedicati ai giochi di carte da cui abbiamo tratto la nostra epigrafe; in essa riusciamo ad identificare alcune regole fondamentali: nessuno, iniziato il gioco, può ritirare la sua puntata una volta conferita al monte o «depositum»; se ci sono primiera o fluxus sarà padrone chi ha il punto più alto e a lui competerà il depositum; se c’è solo il punto (cioè due o tre carte dello stesso seme) si potrà scartare ma solo una volta; alcuni ammettono il Chorus, cioè il punto fatto da quattro carte dello stesso calibro (una sorta di anticipazione di quello che sarà alcuni secoli dopo il poker) e non il Supremus (cioè l’asso, il sei e il sette dello stesso seme) ed altri il contrario.
In queste poche righe sono sintetizzate le regole di giochi con le carte sulle quali si fondano sia quelli praticati nelle bettole di Calabria da mezzo millennio e sia quelli, molto più recenti, che regolano i tavoli verdi di Montecarlo o di Las Vegas.
Dispersosi nel tempo il Chorus, già allora considerata combinazione vincitrice di tutte le altre («Chorus enim ubique vincit» (Cardano, cap. XIX) «primus») ma non accettata da molti, rimanevano, in ordine discendente:
a) il «flu-xus», cioè una combinazione di quattro carte dello stesso seme; il nome ha la stessa radice di «flu-men» e contiene l’idea di un flusso continuo («Dal latino fluxus, in quanto denoti l’affluenza o concorso di carte del medesimo seme»; così il Vocabolario della Crusca, V edizione, vol. VI, p. 229) di carte omogenee: «At in Primaria, cum nec possit vinci a supremo, nec ab alio nisi choro, est maximus» (Cardano, op. cit, cap. XIX); il calabrese «frusciu», con l’alterazione di –l- in –r- nella prima sillaba, mantiene il vocalismo latino che, nel «populare acetum» dispiegato nelle bettole calabre, talvolta si tramuta in «frosciu» con metafonesi nella prima vocale e con uno slittamento semantico non tanto peregrino per via del fatto che nel fruscio si presentano carte dello stesso colore (donde il richiamo all’omosessualità).
b) In calabro-romanzo il «fruscio» di chiama anche «goffu», definito semplicisticamente da Rohlfs «quattro carte dello stesso colore nel gioco» (NDDC, sub voce). In realtà il goffo, o anche i goffi al plurale, più che la figura del gioco della primiera nota come fruscio, è un gioco che precede storicamente la primiera come spiega bene la V edizione del Dizionario della Crusca sub voce: «chiamasi, in un giuoco molto simile alla primiera, e oggi anche nella primiera stessa, la Combinazione delle carte di un medesimo seme».
Quindi il flusso (o flussi) scritto anche come «frusso» (o «frussi») è una delle figure della primiera, la più importante, ma anche un gioco a parte detto appunto «goffo» o «goffi» come ben spiega, anche le differenze, il già menzionato Vocabolario della Crusca: e E Goffi chiamasi Il giuoco stesso che si fa con cinque carte, invece che con quattro come nella primiera, e nel quale si cerca di fare, non primiera o flussi come nella bambara, ma soltanto flussi, ossia goffo. – Dove nella primiera buona si dispongono le carte tanto alla primiera che al flussi, ne’ goffi solamente pei flussi si deono preparare; che quivi si chiama goffo, e quando alcuno l’ha fatto, e lo vuole accusare, dice Io ho goffo.
Quindi c’è il gioco della «primiera buona», o «bambara», ove si distribuiscono quattro carte per ogni giocatore e ognuno di essi può disporle alla primiera o al flusso, e il gioco dei «goffi», dove le carte distribuite sono cinque e il giocatore deve predisporle solo ai flussi.
Mentre la parola «flusso», o il calabrese «fruscio», derivano dal nome latino fluxus mentre il «goffo» è nome più recente tanto che il Dizionario della Crusca lo menziona solo alla V ed ultima edizione (1923).
È altresì evidente che, una volta dismesso il «goffo» come gioco in favore della più articolata primiera (almeno in Calabria) finì per cristallizzarsi metonimicamente nel dialetto, in capo alla parola in questione, soltanto il significato di «figura della primiera».
Rimane ancora da segnalare come nel dialetto calabro-romanzo permane anche la terza figura delle cinque menzionate da Gerolamo Cardano; infatti, dopo il fruscio, anche la figura composta di asso, sei e sette dello stesso seme («supremus») batte la primiera («cinquantacincu francu ‘i primera») o, come dice Cardano, «Chorus enim ubique vincit, amp; supremus primariam…» (op. cit., cap. XIX).
DUE. Il «piatto» della primiera in Calabria: dai soldi al vino.
La primiera e il goffo (o fruscio) sono stati storicamente considerati giochi d’azzardo e ancora oggi compaiono nel catalogo di quelli proibiti e sanzionati secondo le norme contenute il Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza.
Oggi e da molto tempo ormai, specialmente in Calabria, i giochi veramente d’azzardo praticati sono altri rispetto al fruscio e alla primiera; specialmente nel periodo natalizio quando ogni locale privato può diventare un casinò in miniatura con tanto di carte francesi, tavolo verde e fiches.
Con le carte napoletane il gioco d’azzardo più gettonati sono la «stoppa», vero e proprio poker regionale, nel quale, però, viene in genere messo un limite alle puntate e ai rilanci e nel quale il punto che sbanca tutti è proprio il «supremus» di Cardano, cioè il cinquantacinque (asso, sei e sette dello stesso seme).
La primiera, solo lei ma non il fruscio, invece è sopravvissuta come uno dei quattro punti ordinari nel gioco di scopa e di scopone.
Fruscio e primiera appaiati sono rimasti invece come regolatori del vino in uno dei giochi più praticati tra le classi popolari dell’Italia centro-meridionale, la cosiddetta «passatella» romana. Si tratta di un gioco di osteria consistente nel procurarsi una certa quantità di vino, a Roma se ne acquistava un fiasco a tanto per giocatore («alla romana»), prima dell’inizio del gioco. Quel vino veniva messo a disposizione da chi, dalla conta di due gettate di dita fra i giocatori, risultava «capo» e «sottocapo».
I due vincitori distribuivano il vino a seconda della simpatia e dell’antipatia con gli altri partecipanti; chi non veniva beneficato dai vincitori restava all’asciutto o «olmo» e dagli sfottò verso gli «olmi» nascevano litigi e risse che spesso sfociavano in veri e propri delitti.
In Calabria si facevano «patruni» e «sutta» con lo stesso sistema, detto «tocco» (nella conta veniva «toccato» ogni giocatore); alla fine della conta si toccavano quattro giocatori: il primo e si diceva «nenti», il secondo e si diceva «patruni», il terzo «nenti» e il quarto «sutta». In Calabria «patruni e sutta» si facevano anche col gioco della primiera e del goffo, così come si era consolidato nei secoli: Patruni era chi aveva il punto migliore e Sutta chi aveva il punto più scarso; il pagamento del vino, o delle altre bevande, si divideva in parti uguali tra i perdenti di una estemporanea partita di briscola.
Così, tra una mescita e l’altra, intercorreva il tempo necessario per fare evaporare un po’ i fumi indotti dalla bevanda e per non caricare ulteriormente le tensioni fra i giocatori.
Rispetto alla passatella romana le persone rimaste «olmi» non appartenevano al ruolo dei paria ma erano subordinati soltanto all’alea delle carte; infatti era tacito presupposto, anche tra le diverse «cordate» del gioco, che non bisognasse dare da bere a chi non usciva «patruni». Chi diventava «patruni» entrava anche nel gruppo dei bevitori che si costituiva nel corso della partita.
Le discussioni che avvenivano in Calabria erano legate soprattutto al ruolo del «Sutta». Era infatti regola condivisa che, per dare da bere ad altri giocatori, «u patruni» dovesse concordare la cosa col «Sutta»; altrimenti lui era «patruni sulu mi si la mbivi!»
Se il «Sutta» non concordava, era ben facile che il padrone si ubriacasse con una sola bevuta. La stessa cosa avveniva quando un beneficiato, che magari aveva bevuto solo un bicchiere nel corso di una serata, riceveva una quota di vino ne chiedeva un’altra; in caso di diniego, la pronuncia della parola «Forzo!», accompagnata dalla restituzione di quanto era stato offerto dal padrone, costringeva costui a bere tutto o a liberare la bevanda al «Sutta» che ne disponeva a sua volontà.
Per evitare discussioni, collegate con questi tira-e-molla, molte comitive stabilivano prima dell’inizio del gioco che i poteri del padrone erano assoluti e che il sotto non aveva il potere di interferire sui destinatari delle di lui liberalità.