di IDA NUCERA -
“Il nostro carissimo amico Gianni Carteri ci ha lasciati….”. Così il messaggio la sera dell’11 agosto mi ha raggiunto, accompagnandosi all’eco della sua voce che continua a risuonare, mite e affettuosa, nella sua lenta e gentile cadenza calabrese, così come tante volte che mi ha parlato, ora di persona, ora al telefono e negli scambi epistolari, brevi e intensi. Non è solo la cultura calabrese ad essere più povera. Saggista e scrittore, nato il 21 novembre del 1952 a Brancaleone superiore, Gianni Carteri è stato uno degli ultimi ragazzi a lasciare l’amatissimo paese dell’entroterra locrese, mai abbandonato nel cuore, ma fatto rivivere tante e tante volte, con passione e impegno civile, su molte testate, anche non calabresi, come Il Nostro Tempo di Torino, di cui siamo stati collaboratori. Chi non ricorda le pagine dense di ricordi luminosi e mai nostalgici, di una terra e del suo profumo? La narrazione inimitabile e incantevole del Natale, del pane con origano, il mare con le sue luci, la raccolta delle primizie e lo strappo alle partenze, le stimmate dell’emigrazione...
La sua penna ha dato un notevole contributo anche ad altri periodici, come il mensile “Studi Cattolici” e “Humanitas”della Morcelliana. Uomo umile, figlio di una madre che forse non valorizza pienamente i suoi figli, ha scritto decine di libri e centinaia di saggi, non ponendo mai se stesso al centro, ma altri scrittori, come Pavese, Alvaro, Costabile, Crupi e Calogero. Grazie alla sua ricerca, alla scelta precisa di occuparsi di letteratura calabrese, oggi siamo ricchi di un’eredità profonda, la narrazione preziosa di chi ha camminato a lungo, sui luoghi geografici e interiori vissuti da Pavese e da Alvaro, affinando l’orecchio interiore nel cogliere l’eco di “parole nuove, alla ricerca di dettagli nuovi, di possibili concordanze e assonanze con gli autori già letti”,tanto da far nascere dentro “un’idea nuova della mia Calabria, che nel suo piccolo ho sempre considerato un continente: più la studi e meno la conosci”.
Ecco nascere il trittico dedicato a Pavese, relativo al periodo del confino calabrese, per Rubbettino, insieme ai saggi su Corrado Alvaro pregni di religiosità, mito e storia, “Il Dio nascosto. Viaggio nel cristianesimo di Corrado Alvaro” e “La lunga notte di Corrado Alvaro”. Fino al più recente“Come nasce uno scrittore. Omaggio a Mario Lacava” edito dalla Città del Sole. Nonostante la malattia, ha continuato a scrivere, a dialogare con i giovani, fino allo scorso anno, presso l’Università“Dante Alighieri” di Reggio Calabria, con Seminari, sulla Storia della Letteratura calabrese, stimolando il confronto con gli studenti, nella ricerca comune delle radici di una terra complessa e inesplorata. La religiosità dell’uomo ha radici profondissime che hanno tratto la loro linfa dalla figura materna, Peppina Sideri, di cui ha curato e introdotto il diario “Sotto un altro cielo”. Da lei, lo scrittore aveva ereditato non solo la pietas, ma anche un profondo sentimento della Giustizia, stile di vita per l’uomo, e tratto coerente nello scrivere, espresso con ironia sottile e indignazione misurata. Gianni è stato profeta di un tempo difficile e oscuro, mai prono alle mode e ai potenti, alle cordate e ai riflettori. Definito dall’amico Vito Teti “eremita e sacerdote della cultura”, in questo tempo incanaglito e volgare, mai ha smarrito il senso profondo dell’amicizia, legato alla scelta profetica e coraggiosa di chi decide di restare, portandosi sempre “dietro l’odore tenace del mosto e asprigno del melograno e con esso la rupe lunare dalla quale non sono mai riuscito a liberarmi”. Esso continua ad inebriarci e gli siamo grati per quel dono che ci aiuta a vedere meglio “l’erba dalla parte delle radici,accompagnati sempre dai colori, dalla luce e dal respiro profondo dello Jonio, confino e confine dei miti”.