di TIZIANA CALABRÒ -
Io la penso spesso. La Calabria intendo. La penso come il luogo dell’accoglienza, il luogo dell’appartenenza e del ritorno. E la penso come si pensa a una persona preziosa e cara a cui ti viene da dire “ciao come stai?”, conoscendo tuttavia la risposta amara. La penso con nostalgia. La nostalgia per tutto ciò che poteva essere e non è stato. La penso come se la guardassi negli occhi, mentre mi restituisce il suo sguardo silenzioso e malinconico. La penso intimamente intrecciata alla sua gente. Non quella seduta sugli scranni del potere, che puntualmente la calpestano, mentre si riempiono la bocca di parole vuote che la violentano e la umiliano. No, loro la Calabria non se la meritano. Non ve la meritate la Calabria, perché non si merita chi ignoriamo con pervicacia criminale. Non vi meritate la sua bellezza e il suo incanto, che non sapete riconoscere e proteggere. Voi, che dovreste fare scorrere nel sangue un orgoglio furente, per poi dargli forma con atti di intelligenza amorosa. Voi, che l’avete svenduta e continuate a farlo in cambio di potere e consenso, ceduta a mercenari senza storia che l’avvelenano nello spirito e nel corpo.
Voi non siete la Calabria. La Calabria è di chi ne incarna il suo cuore affaticato e il suo respiro. Chi le presta le braccia e i passi. È di chi ne canta la bellezza, è di chi si danna perché esca da un isolamento senza memoria, che la trasformerebbe in una Macondo destinata a scomparire. La Calabria è di chi esercita la “restanza”, incarnandone il dramma di una scelta scomoda, perché gli amori folli non possono che essere così. È di chi parte portandosela nelle tasche, come un segreto struggente. È del suo cielo, del mare intossicato da gestioni criminali dei territori, è delle sue montagne dalla bellezza polposa e a guardarli ti sperdi. È dei contadini, dei pastori, della povera gente che porta impresse le sue origini. La Calabria è di chi la ascolta e sa comprendere e sa parlare di lei a tutti e non soltanto nel chiuso di salotti autoreferenziali.
Il futuro è nascosto nel passato, nei pensieri dei saggi che hanno offerto soluzioni mai ascoltate, nelle nostre tradizioni, nei canti dalla bellezza antica, è nascosto nella terra che è un’esplosione di sensi, nelle acque che la sorreggono. E penso, sì penso, che se non le daremo ascolto, se continueremo a ignorare la sua voce, il suo richiamo a guardarla e riconoscerla, ci abbandonerà, lasciandoci soli con i nostri deserti.