
Un disco che sa di nuovo e di antico, che attinge a sonorità calabresi nella chitarra battente di Francesco Loccisano, nelle zampogne (sì, ma sintetiche) per esempio, ma che rivolge lo sguardo lontano, fuori dalle etichette che limitano e riducono i generi musicali a un ambito definito. È un respiro che parte dal sud con la voce di Valentina Balistreri, che dopo le esperienze con la musica popolare con altri toni e altro tipo di sonorità, in questo disco osa e ritrova la sua voce più calda e ricca di sfumature emotive, e nella la sua interpretazione dà vita ai testi in dialetto reggino scritti dal poeta Alessandro Quattrone. Nuove canzoni in dialetto reggino. Un’operazione questa davvero singolare e rischiosa. Ma questi sono calabresi che guardano lontano, e “se vuoi essere internazionale scrivi del tuo villaggio” (L. Tolstoj). Così Alessandro Quattrone mi diceva nella breve chiacchierata avuta: “Sono canzoni scritte direttamente in dialetto reggino, ascoltato fin da bambino in casa”. Infatti, si è avvalso della consulenza tecnica della scorta casalinga, attingendo alle conoscenze della madre, zii e parenti anziani; rifuggendo una certa comicità facile, ma valorizzando frasi della saggezza popolare e stilemi inseriti nel contesto di un sentire più ampio, affiancando a tutto questo una cura certosina all’aspetto fonico, all’incastro tra musica e testo.
Musica d’autore quella di Claudio Altimari, senza confini. Ispirata da allusioni vaghe al Battiato di Stranizza d’amuri, o a qualche altro cantautore italiano, in realtà è espressione di un’importante percorso musicale che lo ha visto accanto al grande Beppe Vessicchio e che oggi, dopo qualche altra esperienza analoga, lo vede lanciato su una strada nuova e originale.
Quasi tutti gli artisti che intervengono in questo disco, persino per la grafica del cd, sono calabresi sparsi per l’Italia e grazie ai potenti mezzi tecnologici, riuniti per la produzione di quest’opera che aspira ad andare lontano, come merita.