
Oggi si può riproporre, e in che termini, il pensiero e l’elaborazione di Giovanni Lamanna?
Lamanna è stato un innovatore. La visione di uno sviluppo equilibrato, basato sulle risorse originali della Regione, che avesse come pilastri lo sviluppo delle aeree di collina e di montagna, in un’ottica non solo di difesa del suolo ma di uso e valorizzazione del territorio e la trasformazione produttiva delle pianure delle città sono i punti più qualificanti di questa innovazione. Qui non possiamo entrare nel merito delle proposte che giunsero ad un livello di individuazione abbastanza concreto. In questo sforzo creammo un clima culturale nuovo aprendoci al confronto, cercammo e trovammo l’apporto di forze intellettuali e professionali dell’Università calabrese e di altre Università, con la produzione di linee progettuali realistiche di cui c’è traccia in apposite pubblicazioni e nei numeri della rivista “Lotta calabrese”. Il punto di vista da cui parte questa elaborazione è il rifiuto di una rappresentazione puramente negativa della realtà, catastrofista, racchiusa in luoghi comuni che rinviavano il cambiamento ad una catarsi lontana nel tempo ed incline ad accomodarsi, in qualche modo, nell’esistente. Perciò, anche i risultati parziali delle politiche seguite dai Governi, in un’ottica diversa e direi rovesciata, possono costituire elementi su cui alimentare una diversa dinamica economica. Ma alla base di tutto deve esserci un protagonismo di forze sociali, un coinvolgimento attivo e democratico che si faccia portatore di questa visione. Questa ispirazione consentì di superare vecchie contrapposizioni fra agraristi ed industrialisti, fra la ripetizione di vecchie formule degli anni cinquanta ed il crollo della suggestione di un’industria importata, estranea alle caratteristiche della Regione e datata ad un ciclo economico nazionale ed internazionale ormai esaurito. A ben vedere, troviamo in ciò molte delle acquisizioni che la cultura economica ha raggiunto nel nostro tempo riguardo alle caratteristiche dello sviluppo. Naturalmente, oggi abbiamo una realtà sotto molti aspetti assai diversa e, di conseguenza, non si può pensare ad una pura e semplice trasposizione di quell’esperienza. Tuttavia, quelle elaborazioni contengono un’ispirazione culturale e politica estremamente attuale, delle intuizioni e delle proposte che possono indicare un percorso. Penso all’individuazione delle risorse ambientali, culturali e del territorio, come base di una struttura produttiva avanzata, legata alle nuove tecnologie ed in grado di impegnare, in varie forme, il capitale umano esistente. Un processo, non un’utopia, sostenuto da politiche pubbliche e che faccia in conti anche con la necessità di coesione sociale e con l’obiettivo di un graduale superamento dell’assistenzialismo. Sarebbe estremamente interessante ed utile riallacciarsi a queste intuizione per un’elaborazione culturale e politica ambiziosa e che abbia la capacità di suscitare un rinnovato impegno civile e politico.
Quali ricordi personali e politici ti legano a lui?
I miei ricordi sono quelli di più di dieci anni di estrema tensione politica nella produzione di quella elevata elaborazione di Governo che il PCI raggiunse e di una dimensione umana di Giovanni, allegra, capace di sdrammatizzare anche i momenti più drammatici, ironica verso gli eccessi esibizionistici ed autoironica nel raccontare le sue vicissitudini, sensibile all’amicizia ed all’affetto e, nello stesso tempo con un di ché intellettualmente aristocratico che ne svelava il rifiuto di ogni forma di plebeismo.