LA STORIA. Mamadou, che non vuol restare bambino per sempre

LA STORIA. Mamadou, che non vuol restare bambino per sempre
mama  Mi chiamo Mamadou. Non so più quanti anni ho, forse otto, forse 80. Guardo la vita da un pezzo di legno che da qualche giorno galleggia sul sale e scivola verso il futuro. Forse quel futuro si inchioderà qui tra poco, dietro la prossima onda. La mia pelle, oggi, non ha limiti. Ho un'epidermide grandissima, lunga e larga quanto tutta questa bagnarola. Sa di sale e di paura, ha un odore che non riconosco nemmeno più. Non so dove inizio io e dove finisca Ababuacar. Con lui ci giocavo a pallone prima che le strade perdessero i contorni. Lo vedo dall'altra parte della barca mentre gli spezzano qualcosa sulla schiena perché ha chiesto di bere. Sento quel dolore, perché la sua pelle è anche la mia. Il nostro stomaco brontola da qualche luna. È l'unico rumore che sento, in certi momenti, assieme al deglutire sordo delle onde e al motore che sembra provenire dall'inferno.

C'è un ragazzo come me che ha il corpo pieno di cicatrici e sta in piedi al timone come se capisse la differenza tra un'onda e l'altra. Guarda oltre l'orizzonte con l'ansia e la paura di non superarlo mai. Ci deve portare in un posto dove forse nemmeno ci vogliono ma prego Dio per arrivarci. Se ci arrivo allora sarò vivo anche domani e dopodomani. Avrò vinto le bombe e la fame e forse, un giorno, rivedrò mia madre e mia sorella. Le ho viste spingere su un camion che non era il mio e poi le ho perse. Sono rimasto con mio zio e i miei cugini, ma siamo in tanti e forse, una volta a terra, rimarrò solo. Non importa, bacerò la sabbia e forse ci saranno un paio di occhi che vedranno in me solo un essere umano, vero?

Ecco un'altra onda. La testa si riempie e si svuota di pensieri, si muovono come pesci in una boccia di vetro. Non so cosa ci sia dopo questa duna d'acqua ma voglio sperare che non sia il silenzio. Se non sentirò più nulla allora forse non sono vivo, forse vuol dire che sono morto già da un pezzo.
Non ricordo più l'ultimo sole che ho visto e che sapore abbia il cibo. Avrò bevuto nelle ultime ore? E da quanto sono in viaggio? Forse un mese o forse sono nato su questa barca. O ci sono appena salito? Non ricordo più il mio nome. Da cosa fuggo? Dall'uomo e dal suo odio. E lì, dove arriverò, ci saranno uomini? Non lo so, alcuni dicono che siamo tutti uguali, altri no. Ma non lo so se voglio che siamo tutti uguali, non lo so cosa voglio trovarci. Forse solo la vita. Fatemi baciare la vostra sabbia e svenire sul bagnasciuga. Datemi solo il tempo per chiudere gli occhi senza svegliarmi con dei mostri nel letto. Fatemi solo credere che esiste un posto dove i bambini sono bambini anche se parlano una lingua diversa e hanno una pelle più chiara della mia.

Ecco la riva, la vedo. Sembra così vicina eppure ci toccherà galleggiare ancora per un po'. Vedo le luci di una barca che ci grida qualcosa ma non so più cosa. Non capisco più le parole. Voglio solo afferrare una mano e pensare che il futuro esista ancora, che non sia solo una parola detta da mio padre quando ci ha dato tutto quello che aveva prima di sparire sotto le macerie di un palazzo che un tempo chiamavo casa mia. Non ho più nemmeno ricordi. Tutte le case sono uguali adesso: hanno il colore del fumo, del cemento sbriciolato, del sangue di altri bambini come me e dei loro genitori.
Non ho più ricordi, non ho niente allora. Ma a volte, solo a volte, vorrei non ricordarmi davvero cosa vuol dire essere un uomo. Perché quel che è capitato a me è colpa dell'uomo. Ed io non voglio essere così. Ma non fatemi restare bambino per sempre. Nel vostro mondo c'è spazio anche per me.