CALABRIA. Perché qui la crisi morde di più

CALABRIA. Perché qui la crisi morde di più
lavoro cerco La Calabria ha sofferto maggiormente gli effetti della crisi. Le ragioni sono molteplici e attengono principalmente ad una struttura produttiva composta prevalentemente da piccole imprese, un accesso al credito più difficoltoso, una ridotta produttività del lavoro, limitata propensione alle esportazione e, più in generale, un ambiente competitivo caratterizzato da significativi divari di competitività.

Negli ultimi anni diverse iniziative sono state avviate, basti citare Masterplan Sud, credito d’imposta per gli investimenti, la grande opportunità ora della ZES soprattutto presentata nelle scorse settimane dal presidente Oliverio e dall’assessore Russo.

Ma ancora: il bonus occupazione, il vincolo del 34% sugli investimenti pubblici al Sud e l’avvio della nuova programmazione 2014-2020. Purtroppo queste risorse non sono risultate sufficienti per innescare il processo di ripartenza in maniera adeguata alle necessità dei territori fortemente fiaccati dalla crisi. E il Rapporto della Pmi presentato nei giorni scorsi da Unindustria lo mostra chiaramente.

I dati - dice infatti il presidente degli industriali calabresi, Natale Mazzuca - hanno una duplice chiave di lettura: su un orizzonte temporale medio/lungo (di 10 anni) mostrano chiaramente come la crisi abbia colpito maggiormente le zone più in ritardo che, per una serie di ragioni, hanno mostrato una resilienza minore agli shock economici.

Tuttavia, se si guarda agli ultimi 2-3 anni, appare invece evidente una, seppur flebile, ripresa che dovrebbe diventare strutturale accompagnandola con politiche economiche che facciano emergere più velocemente le potenzialità di questi territori e ne correggano i divari competitivi.

‘’Il Rapporto presentato a Cosenza – dice ancora Mazzuca - grazie alla rilevante mole di informazioni contenute, si propone come un importante contributo al dibattito con indicazioni ed ipotesi di indirizzo utili ad imboccare la strada della ripresa e dello sviluppo".

Le PMI meridionali tornano, dunque, ad investire. Potrebbero farlo in maniera ben più consistente grazie ad una crescente solidità finanziaria e patrimoniale. Il tessuto produttivo ha conti economici in ripresa e torna a popolarsi, ma soprattutto di imprese di piccolissime dimensioni, che faticano però a crescere.

   La velocità con cui tale processo si compie non è ancora sufficiente a recuperare, in tutti i territori, le fette di tessuto imprenditoriale perdute con la crisi. Due saranno le sfide decisive: attivare il potenziale degli investimenti e favorire il salto dimensionale delle micro imprese. Il principale segnale di svolta viene dagli investimenti: dopo una fase di forte contrazione, accelerano e crescono in tutte le regioni meridionali. Tra 2015 e 2016 gli investimenti materiali lordi delle PMI meridionali aumentano dal 5,9% delle immobilizzazioni materiali all’8,5%, superando la media nazionale (7,8%). Ancora meglio fanno le imprese industriali, i cui investimenti superano il 10% delle immobilizzazioni in Campania, Puglia e Sicilia.

Le sfide da affrontare sono impegnative, e di non breve periodo: occorre, infatti, rinfoltire le fila delle piccole ma soprattutto delle medie imprese di capitali; attivare il potenziale di investimento con un miglior accesso alle fonti di finanziamento, non solo bancario; utilizzare sinergicamente credito, finanza e strumenti di incentivazione; sfruttare i fondi europei per ridurre le diseconomie territoriali. Imprese, mondo del credito e della finanza, Istituzioni, sono tutti chiamati a fare la loro parte.