L’ANALISI. Le elezioni regionali e la disfatta della Calabria

L’ANALISI. Le elezioni regionali e la disfatta della Calabria

cala

UNO. Continua lo spappolamento delle forze politiche calabresi. Bisogna eleggere Consiglio e Giunta della Calabria che hanno sede, non per caso, a Reggio e Catanzaro. Bisogna ridar vita agli strumenti (presunti) della democrazia e dell’autogoverno. La questione, quindi, dovrebbe interessare e dipendere prima di tutto dai calabresi, dai gruppi dirigenti della Calabria e, se si vuole, ammesso che esista e abbia ruolo, dall’establishment che abita tra Sila e Stretto.

DUE. In passato è stato così, sia pure in un rapporto contorto tra i gruppi dirigenti del potere nazionale e calabrese. La Calabria “commerciava” con Roma futuro e destino. Il meccanismo era noto: il potere dei governi e dei partiti (sì, anche dei partiti) concedeva (centellinandoli) pezzi di potere ai calabresi che lo gestivano nella loro regione collegandosi ai cittadini e collegando i cittadini al potere di Roma. In cambio l’establishment portava a Roma blocchi di consenso popolare (voti).

Era il voto di scambio: la Calabria dava consenso perché i governi e certi partiti avessero la maggioranza in parlamento. In cambio quei partiti e governi nazionali (centellinando) premiavano l’establishment calabrese e attenuavano i dolori sociali che agitavano la Calabria. Tutti i governi del paese quale che fosse il colore, a partire dalla nascita della Repubblica, si sono retti col voto determinante del Mezzogiorno e specialmente della Calabria: centrismo, centrosinistra, larghe intese, Berlusconi, Prodi, D’Alema. Tutti. In cambio, la Calabria ha avuto vantaggi modesti che è sempre (molto) meglio di niente. Così la nostra regione ha camminato ed è cresciuta (certo, mentre gli altri correvano e ci lasciavano indietro, aggiungerebbe il professore Sabino Cassese). Insomma, i calabresi al potere gestivano la Calabria sapendo che di volta in volta dovevano tener conto della maggioranza istallata in quel momento a Roma.

TRE. Le dinamiche di questi giorni e queste ore sulle candidature regionali legittimano l’ipotesi che siamo ora ad un cambio profondo. I centri nazionali del potere gestiscono, sono costretti ormai a gestire, la Calabria rinunciando alla mediazione del personale politico calabrese. Non in questo o quel partito, in questa o quella aggregazione, ma dappertutto. E’ un cambio radicale che rivela una doppia debolezza. Intanto, quella di Roma che non ha più l’autorità per dirigere e fare accettare un negoziato ai calabresi perché sembra aver perduto capacità di egemonia, cioè la capacità di risolvere i propri problemi risolvendo al contempo (e almeno in parte) quelli degli altri (non a caso l’attenzione dei governi, tutti, verso la Calabria s’è striminzito). Secondariamente, la debolezza della Calabria ormai priva di potere di contrattazione con la Capitale perché ha visto drasticamente indebolirsi il collegamento tra gruppi di potere ed establishment della Calabria coi cittadini e il popolo di questa regione. Roma, sempre più debole, è stata costretta a passare dall’egemonia al dominio perché in Calabria si sono spezzati i fili tra élite locale, partiti e popolo.

QUATTRO. Nella regione (geografica) s’è innescato e si assiste ad uno scivolamento dei vecchi partiti e delle antiche aree politico-culturali verso l’evaporazione. Tutto lascia intendere che siamo di fronte a un fenomeno che s’è accelerato perché in fase terminale. La responsabilità (la cosiddetta colpa), quindi, non è dei protagonisti i cui nomi riempiono in questi giorni giornali e televisioni da Oliverio a Callipo, da Occhiuto alla Santelli, dalla Nesci ad Aiello, da Nucera a Tansi.

Il Pd ha deciso attraverso i suoi emissari (per giunta) non calabresi inviati in Calabria da Roma. Il Cdx non ha fatto neanche lo sforzo di inviare qualcuno fino quaggiù per il lavoro sporco. Si sono incontrati Meloni, Berlusconi, Salvini e hanno azzerato Occhiuto, non hanno preso in considerazione Abramo e Wanda Ferro, hanno varato (forse) la Santelli. Intanto, la Nesci pentastellata e autocandidata è stata cancellata (via consultazione Casaleggio) da gruppi di cittadini italiani gran parte dei quali non hanno mai messo piede in Calabria anche se, probabilmente, ne hanno sentito parlare (quasi sempre male e in cronaca nera).

Fuorvianti i paragoni con l’Emilia. Nessuno in Italia si preoccupa del voto calabrese. In Emilia si voterà per la Regione (istituzione) e si potrà giudicare l’orientamento politico di quella regione (geografica). In Calabria, no. Si avverte dappertutto che in Calabria c’è un’estraneazione radicale tra i calabresi e il potere di scelta di gruppi e personale politico a cui affidare le sorti di questo territorio. Insomma, dal voto della Calabria non emergerà nessun segnale se non quello della crisi della Calabria.

CINQUE. Chi verrà eletto? Chi governerà la Calabria? Il paradosso tocca qui l’iperbole. Nessuno sa come andrà a finire. Non per i travagli elettorali dei calabresi. Ma perché lo sciame sempre più nervoso delle fratture impedisce qualsiasi valutazione e potrebbe perfino consegnare chissà a chi la palma della vittoria con un colpo di fortuna grazie all’altalena e all’intrecciarsi di candidature, ritiri, ripicchi e fratture.

Oliverio si presenterà veramente o no? Occhiuto darà il via libera alla Santelli o punterà i piedi. L’elettorato 5* come reagirà di fronte a questo quadro? E i calabresi, sempre più confusi, in quanti andranno alle urne? La disfatta che sta emergendo in che misura modificherà gli orientamenti dei calabresi? E chi verrà eletto in virtù e grazie alle fratture in atto quale forza avrà rispetto alla necessità di far continuare a camminare in avanti la Calabria?