Primo Elettore - Per chi hai votato alle Primarie?
Secondo Elettore - Per nessuno, non sono iscritto.
P.E. - Ma poteva votare chiunque: erano aperte a tutti.
S.E. - Questo è uno dei motivi per cui non ho votato.
P.E. - Va bene, ma tu non sei sempre stato comunque vicino al Pd, e le primarie non fanno pare della sua identità fin dalla nascita?
S.E. - Piano. Se dobbiamo parlare di identità e di nascita è bene riferirsi a un complesso di cose, non espungere un tratto soltanto. A te risulta democratico o suicida il fatto che gli iscritti sono stati soltanto il 6,6 per cento dei votanti alle primarie, o non è più plausibile invece che gli elettori o gli pseudo elettori del centrosinistra hanno sottratto il partito ai suoi dirigenti e ai suoi militanti?
P.E. - Sentiamo allora, qual è questo complesso di cose?
S.E. - La facciamo lunga o la facciamo breve? Scegliamo una via intermedia. Nacque dopo i grandi partiti dell’Ottocento, dei grandi ideali, del capitalismo e del comunismo. Caduto il muro, mutata la geografia delle classi sociali, nati nuovi mestieri, si ritenne opportuno cambiare. Verso un partito a vocazione maggioritaria, innanzitutto, con la scelta cioè di candidarsi a governare i grandi mutamenti. La caduta del muro diede il via alla diffusione in tutta l’Europa di un neoconservatorismo, vedi Reagan negli Stati Uniti e Thatcher in Gran Bretagna… ma questo lo sappiamo. L’effetto di trascinamento sui socialisti ha spostato il baricentro della politica europea verso destra, vedi Blair. Da noi la svolta di Occhetto peraltro incompiuta non solo non è stata mai digerita ma nemmeno spiegata per cui la mutazione dell’elettorato del Pd verso un approccio liberal non è stato capito ne’ seguito da gran parte dell’elettorato, con un loro conseguente allontanamento.
P.E. - Ma veniamo ad oggi. Perché ha vinto Schlein, soprattutto nelle città!, e perché ha perso, sembrerebbe un paradosso, al sud?
S.E. - La risposta viene da lontano. Da un partito che nacque come antistato, poi si confuse con lo stato pur dichiarandosi poi di lotta e di governo, e ora ritorna nella sua fisionomia originaria di opposizione. È semplice: il Pd non ha saputo corrispondere alle domande della sua gente, e prima ancora non ha saputo e forse voluto individuare chi fosse la gente alla quale rivolgersi. L’indefinitezza dei suoi gruppi dirigenti e le ambiguità come retaggio di vecchie ideologie unite alla salvaguardia di postazioni di potere e a grumi potenti di califfati locali hanno determinato la lunga ma inesorabile deriva di un progetto nato ambizioso ma rilevatosi fragile.
P.E. - Perché dici ambizioso e fragile?
S.E. - Ma perché per dare risposte di governo era necessario mettere in campo forze, alleanze e progetti all’altezza della sfida, senza oscillazioni di target e strizzate d’occhio ambigue. Così non è stato e forse ha ragione chi dice che ne’ intelligenze ne’ visioni di calibro adeguato albergano nelle fila dello schieramento riformista: meglio rintanarsi sotto le tende dell’affermazione di principi - sacrosanto - ma lontano dalla declinazione del loro inverarsi. Come spieghi altrimenti i think thank di pertinenza di leader o ex leader della sinistra che discettano di intelligenza artificiale, di ambiti sempre più pervasivi di modernità e saperi nuovi e dominanti ma che non trovano il loro corrispettivo nell’agire politico, anzi tutt’altro? Tu, piuttosto, chi hai votato, e come lo spieghi il successo di Bonaccini nel sud?
P.E- Ho votato per Schlein perché il Pd, ho realizzato da tempo, è morto e per far rinascere la sinistra bisogna ritornare ai diritti, ai deboli, a suscitare il torpore che ormai ammorbava le stanze lontane dal popolo. Opposizione, quindi, per ricostruire e rilanciare. Bonaccini l’ho percepito, e non solo io, come chi è contiguo se non responsabile di coloro i quali hanno la colpa di averci ridotto in queste condizioni: l’espressione conservatrice del governismo spacciato per farsi carico dei problemi dei più abbienti a scapito del nostro popolo di riferimento. Il Sud dici: intanto non dimentichiamo l’opacità di Bonaccini, a esser buoni, sul regionalismo differenziato, ma non trinceriamoci dietro un dito perché i saliti sul suo carro, fin dall’inizio e ancor di più nelle ultimissime settimane, i sepolcri imbiancati come li definì venti anni fa Veltroni, rappresentano il ceto politico che ha le massime responsabilità della marginalità nel Mezzogiorno del Pd fin dalla sua nascita, della subalternità del sud storicamente comprovata. Mezzogiorno, quindi: non è questo un capitolo della Questione Meridionale? Parlare dei ceti politici, dei padroni delle tessere prima, dei voti oggi, del plebeismo e del notabilato, del conservatorismo e della difesa di rendite di posizione è questa la Questione Meridionale, non pensi?
S.E.- Vediamo cosa sarà capace di fare la tua eletta, allora, quali forze nuove immetterà, quale impegno dedicherà al sud, laddove ne’ Veltroni ne’ Renzi seppero scalfire il macigno che tiene sotto tutela un patrimonio inespresso. E sopra Napoli, a Roma e sopra Roma, a quale Italia pensa. Io per il momento continuo a rimanere in stand by.