I ritardi ormai conclamati, la presa di coscienza che, molto probabilmente, i progetti finanziati si dimostrano non del tutto finalizzati ad una effettiva crescita generale del paese, a risolvere i problemi
strutturali, a eliminare le crescenti disuguaglianze, a ridurre gli squilibri sociali tra Nord e Sud del Paese e in cui emerge senza attenuanti la fragilità e l’inefficienza dell’apparato burocratico, ma anche l’inadeguatezza di un sistema in pauroso ritardo nel processo di modernizzazione e di riforme delle sue strutture. Da quella giudiziaria a quella fiscale, sanitaria e scolastica. A cui guardano con interessata attenzione non solo i burocrati a Bruxelles, ma una parte dell’occidente, Francia e Germania in testa, che non disdegnerebbero di ricacciare il nostro Paese nei gironi di riserva delle democrazie più avanzate.
Dopo i tragici e inquietanti fatti di Steccato di Cutro, di cui si piangono ancora le vittime innocenti, in numero crescente, ma si reclama con sempre maggiore forza verità e giustizia, il problema degli sbarchi è diventato negli ultimi giorni più drammatico e incontenibile, mettendo in ginocchio le carenti strutture di accoglienza calabresi e siciliane e rendendo ancora più evidente l’isolamento politico italiano nel contesto europeo.
Su un problema che continua ad essere affrontato in termini di emergenza e di contrasto agli sbarchi e non già in una prospettiva globale di nuova visione dei rapporti tra Nord e Sud del mondo e, comunque, di una strategia italiana per governare i flussi migratori, anche in una logica positiva di integrazione funzionale degli stranieri legittimi. Mentre crescono le preoccupazioni per l’Autonomia differenziata non sufficientemente rassicurante sul rischio di aumentare le disuguaglianze tra i territori, senza adeguata
garanzia per livelli essenziali di prestazioni uguali per tutti.
Tutto questo avviene quando, dal 25 settembre 2022, gli italiani hanno scelto liberamente di essere governati da una coalizione di destra a guida FdI di Giorgia Meloni e sostenuta da Lega e FI. Un governo che si regge molto sulle indubbie qualità di manovra e sulla spiccata personalità della prima donna Premier e sulle inconsistenti performance delle opposizioni costituite da M5S e PD, oggi rianimato dalle nuove parole d’ordine radical movimentiste di Elly Schlein.
Eppure di tutto questo non c’è traccia nelle invettive, nel delirio di dichiarazioni, twitter, interviste, messaggi cifrati, contumelie, stracci più o meno polverosi che in queste ore si stanno indirizzando Carlo Calenda per Azione e Matteo Renzi per Italia Viva. I due azionisti del Terzo Polo, che nelle migliori intenzioni dei due fondatori avrebbe dovuto, tra l’altro, annientare il bipolarismo populista dilagante in Italia. Sia pure con una forza del 7-8% di voti, che in questi mesi e nelle competizioni elettorali politiche e regionali non si sono granchè incrementati.
Calenda e Renzi, due figure sicuramente apprezzabili nel panorama, abbastanza esangue della terza repubblica, avrebbero dovuto occupare un’area molto ampia e non presidiata dello scenario politico nazionale, che si colloca tra destracentro e centrosinistra, ai confini tra FI e gli scontenti del PD, area cattolica sempre più mortificata e marginale e tutti coloro che non si rassegnano alla deriva estremista della Schlein.
Un terreno rimasto assolutamente incolto, abbandonato alle piccole e melanconiche velleità dei nostalgici di un grande centro post democristiano, sicuramente più grande e impegnativo della caratura dei vari Cesa, Tabacci, Mastella, Follini ecc. Ma Calenda e Renzi, personaggi sicuramente dotati di grandi talenti, specie l’ex Premier, che in qualsiasi altra realtà continuerebbe ad avere un ruolo strategico, se non fosse periodicamente colpito dal demone del narcisismo intellettuale e dall’invidia dei tanti mediocri e frustrati della sinistra italiana, sembrano però destinati ad un ruolo drammatico in una commedia dell’incomunicabilità. Ed oggi denunciano la fine di un Partito Unico mai nato, di un progetto mai scritto. Ma reclamano reciprocamente il mancato versamento di quote milionarie, si rinfacciano alibi di potere, conflitti d’interesse, megalomanie personali straripanti...
Ma non dovevano essere il Terzo Polo?
La casa di tutti quelli senza una casa politica, che si rifiutano di coabitare con improbabili nipotini di Stalin, con i nostalgici di un periodo oscuro della nostra storia e hanno imbarazzo a riconoscersi nei valori fondanti della nostra democrazia. Che credono che ci sia ancora spazio per un’area politica liberal democratica, autenticamente garantista, incentrata sul ruolo della persona umana e del rispetto di tutti i valori plurali della società.
Il grande problema di Calenda e Renzi è non aver capito che in Italia ormai un Terzo Polo esiste dal 1992 ed è rappresentato da quel 40% di cittadini che non votano. Che si rifiutano di partecipare al rito sovrano della democrazia formale. Che non si riconoscono in questi simulacri di partito, trasformati in spregiudicati comitati collettori di consensi, per tenere in vita un sistema elettorale che premia i cooptati, i portaborse, i fedelissimi, le quote rosa a prescindere. Un Terzo Polo che non ha bisogno di troppi galli nel pollaio e non trova spazio nei talk show. Ma sicuramente raccoglie lo scontento dei giovani calabresi costretti a emigrare per trovare una risposta alla crescente domanda di un lavoro dignitoso ed equamente retribuito.
Un Terzo Polo che si colloca, senza se e senza ma, dalla parte dei più deboli, della giustizia giusta, contro tutte le mafie e le violenze, della pace e della libertà. Il Terzo Polo è morto. Viva il Terzo Polo!