Alla fine, caddero. Che non si tratti di semplice inciampo lo certificherà – se i sondaggi non saranno totalmente ribaltati (improbabile ma pur sempre possibile) – il voto tedesco di domenica prossima, 23 febbraio. Gli Dei sono già caduti. Ne sono stati smascherati tutti i miracoli sin qui loro attribuiti. Il miracolo – direbbe Ernst Jünger – si è rilevato “materialmente impossibile, assurdo”. I segnali ci sono tutti. E non si tratta semplicemente della caduta degli Dei tedeschi dell’auto e dell’acciaio (TyssenKrupp, Volkswagen, Bmw, Bosch…), ma della più ampia devastazione del vasto tessuto di imprese corpo e sangue della seconda potenza manifatturiera mondiale, oggi in balia di sempre più smarriti governi e di decadenti aristocrazie capitaliste.
Le banche sono state negli scorsi anni i primi anelli a vacillare (Deutsche Bank, Commerzbank…), ma la recessione ormai da tempo ha colpito il commercio e la grande distribuzione. Decine di migliaia di ristoranti, pub e bar sull’orlo dell’insolvenza (“a vantaggio” dei discount).
La fiera delle meraviglie non c’è più, tanto nel privato quanto nel pubblico. A denunciarlo sbigottiti e arrabbiati sono quotidianamente i tedeschi nelle loro conversazioni private: “non è più la Germania di una volta, le cose funzionano male. Le scale mobili rotte, sei mesi per una visita specialistica, i treni inaffidabili, le scuole maltenute”. E non più all’orizzonte, ma sempre più ravvicinata e concreta, l’ultima mazzata. Gli annunciati dazi di Trump, preludio ad ulteriori tagli degli stipendi e del personale, a licenziamenti, a vaghi e confusi progetti di riconversione produttiva che non riescono a nascondere il fatto che nessuno tra le élite sa bene che pesci pigliare.
Anche in queste ore i commentatori (quelli italiani si distinguono, come al solito, per ignoranza e qualunquismo) se la prendono con il bullismo trumpiano e muskiano. Ma il neo-presidente statunitense e il miliardario che vuole andare su Marte vogliono semplicemente rendere più profonde e dolorose le ferite del Vecchio continente. L’Olimpo, la montagna sacra alla casta degli “Dei”, è sempre stata, fin dai tempi degli antichi greci, oggetto di tentativi di “scalata”. Oggi quella scalata per gli americani si chiama dominio della globalizzazione.
Questa è la partita, questa è la posta in gioco dei prossimi mesi e dei prossimi decenni. Nessun modello nazionale, nessun nuovo modello tedesco, salverà la Germania e l’Unione europea dalla loro riduzione a insignificanti pedine della geopolitica e della geoeconomia mondiale. E tanto meno sarà l’Italia a salvarsi dal declino, con buona pace del sovranismo ruffiano e subalterno di Giorgia Meloni. Sarebbe tempo di prendere congedo da tutti gli antichi Dei – americani o tedeschi che siano – del capitalismo neoliberale. Come nel gustoso finale del film del 1966 di Dino Risi, Operazione San Gennaro, quando la banda di Totò è costretta “con le buone” a restituire il tesoro alla città, ai suoi popoli. Pena la sua disgregazione.
C’era una volta (1970, regia di Marcello Fondato) “Ninì Tirabusciò, la donna che inventò la mossa”. Oggi la fantasia difetta, ma c’è un uomo, Emmanuelle Macron, che, un giorno sì e l’altro pure, ha in mente qualcosa per fare uscire l’Unione dal precipizio, mai sazio del fattivo contributo che dà in Patria al declino della Francia. Qualche giorno fa, prima del vertice di Monaco sulla sicurezza, ha rilasciato al Financial Times l’ennesima, lunga, intervista per informare il mondo che il ritorno di Donald Trump è una sorta di elettrochoc e che il Vecchio continente dovrebbe “darsi una mossa” e assicurarsi così il proprio futuro e quello dell’Unione. Come? “Rafforzandosi” nei settori della difesa e dell’economia. Originale e geniale, nessuno dell’establishment dell’Unione (establishment, si fa per dire) lo aveva detto in questi anni. A Monaco qualche giorno dopo, alla cosiddetta Conferenza per la sicurezza, quasi tutti hanno concordato con un documento, lungo centinaia di pagine, sulla “multipolarità” del mondo per “concludere” che quello che dice Macron “s’ha da fa” ma si tratta di un compito erculeo. Qualche ora dopo l’ineffabile e “dialettica” Ursula Von der Leyen ha fatto sintesi con un messaggio che ha impressionato per la sua perentorietà anche i bambini delle elementari della Baviera: «Non dobbiamo solo parlare francamente (sic|) ma agire di conseguenza», annunciando l’intenzione di accelerare il processo di adesione dell’Ucraina all’Ue e di precedere spediti sulla strada di “un aumento della spesa europea per la difesa”. Sono, direbbero i Maneskin, fuori di testa. E non capisco in cosa diversi da Donald Trump. Fateci scendere.
*ordinario Diritto costituzionale, UniUrbino