I CALABRESI E I TEMPI DELLA RIVOLUZIONE

I CALABRESI E I TEMPI DELLA RIVOLUZIONE

Marc Ghagall     di GIOACCHINO CRIACO - Fossero stati alcuni mesi, o un numero ristretto di anni, i calabresi ci avrebbero, quantomeno, provato a sostenere la liberazione dal male, della Calabria. Ma vent’anni e passa di lotte, speranze, promesse, sono troppi per stare in trincea, per restare immersi nel fango di una guerra di posizione di cui non si intravede la fine. Su questo conta il sistema per vincere, sui tempi lunghi delle rivoluzioni e sull’indole dei calabresi.

E sul nodo del tempo cadono gli eroi, che invece di mirare alla testa si limitano ad attaccare ai fianchi un campione del ring, quando servirebbe il colpo fulmineo del ko si accontentano di un gancio parato dalla guardia, stancandosi nella successione dei match, in un incontro che non si può vincere ai punti.

E la Calabria non cambia, continua a chiedere a chi comanda di riempire i vuoti di pancia, e chi non si adatta trasloca, chi resta si adatta o rimane a pancia vuota.

E alla prossima rivoluzione ci sarà meno gente della volta prima, perché i calabresi di guerre ne hanno viste tante, e di tutte ricordano la fine infausta.

E, in fondo, si è un po’ stufi di paladini che chiamano alla crociata, pretendendo che rispondano solo i giusti. Con i buoni in Calabria non si formano le immense schiere, che in terra di bisogno e ingiustizia, anche se solo per un cenno, il capo lo si è abbassato e il braccio lo si è levato in tanti. Le guerre si fanno con gli uomini di buona volontà e di braccia forti. I giusti mancano spesso d’allenamento.

Le guerre hanno un senso se si mira al tiranno, se ci si accontenta della sua teppa ci vorrà poco ad assoldarne altra. Le guerre hanno un senso se si da la speranza di vittoria, se dietro agli assalitori c’è il genio che ricostruisce dalle macerie. Se la guerra è fine a se stessa non ha un senso, se si combatte tanto per farlo o nutrire lo smisurato orgoglio di chi conduce, meglio non prenderle per nulla le armi.

I calabresi non credono più alle rivoluzioni, ne hanno viste tante, lasciano sul campo i cadaveri dei soldati, fanno finire nella polvere gli eroi, mettono d’accordo i furbi e finiscono sempre con festose restaurazioni che riportano in pista un passato che in fondo era più tranquillizzante della guerra.

E gli eroi se ne facciano una ragione, le rivolte hanno un senso se per tutti si prospetta un mondo nuovo, se anche al cattivo si promette il paradiso, le rivoluzioni sono per migliorarsi e non, solo, per i migliori.

* Il mondo sottosopra di Marc Ghagall. Il grande sole, 1958