La democrazia dei furbetti del quartierino

La democrazia dei furbetti del quartierino

     cameradi GIUSEPPE GANGEMI - Era da tanto che aspettavo di poterlo dire. Lo avevo previsto da tempo. Come Cassandra ho aspettato, nell’incomprensione di coloro a cui ne ho parlato. Adesso finalmente è successo. E non vedo l’ora di poterlo dire, nella certezza di essere capito.

“Ho sempre votato alle elezioni politiche e amministrative sin dalla prima volta che me ne hanno dato il diritto, nel 1970. Ho votato anche con leggi vergognose e che non condivido, come il Porcellum. Ho votato perché credo nel voto e nella democrazia. Ma ho giurato che non sarei più andato a votare se fosse mai successo che ad una elezione importante fosse andato a votare un numero di elettori inferiore al 50%”.

Ed infine è successo: in Basilicata è andato a votare solo il 47,6% degli aventi diritti al voto.

Perché la cosa mi offende così tanto? Perché c’è una norma, che non condivido, non ho mai condiviso, in base alla quale un referendum popolare non può essere considerato valido se non si raggiunge il quorum della maggioranza più uno degli aventi diritto al voto.

Ho sprecato il mio voto in tre referendum, per mancanza di quorum, il 3 giugno 1990 (Abrogazione norme sulla caccia; Divieto di accesso dei cacciatori ai fondi privati; Abrogazione norme su uso pesticidi). Era semplicemente successo che i favorevoli alla caccia avevano lanciato la parola d’ordine “non andate a votare!” e così avevano vinto sommando i loro voti a quelli degli astenuti. Lo avevo considerato ingiusto e dannoso. Dannoso perché prevedevo che sarebbe stata l’alba di un nuovo modo (sleale) di vincere i referendum. I cacciatori, sleali con gli altri elettori come sono sempre stati sleali con la selvaggina disarmata, erano tanti ed erano stati sufficienti a non far scattare il quorum. Sarebbe solo bastato che la percentuale di quelli che andavano a votare si abbassasse ancora alle elezioni politiche, e anche piccole minoranze avrebbero potuto vincere il referendum contro chi lo proponeva: semplicemente non andando a votare e facendo mancare il quorum.

E così è successo che ho sprecato il mio voto in altri 24 referendum, svolti tra il 15 giugno 1997 e il 21 giugno 2009, per lo stesso motivo: somma dei non voti dei contrari ai non voti di quanti non vanno più a votare. Solo nel 2001 e nel 2006, con i due referendum costituzionali, elettori favorevoli ed elettori contrari hanno potuto confrontarsi ad armi pari (perché per questo tipo di referendum non c’è quorum: i risultati sono validi indipendentemente da quanti votano). La legge per il referendum popolare, con raccolta di firme, invece, è di fatto vanificata dal quorum. Abbiamo perso la possibilità di esercitare questo diritto di referendum perché ormai è solo fatica sprecata: i furbetti del quartierino non ci permettono di batterci alla pari con chi vuole lasciare le cose come sono state decise dai partiti.

Per quanto mi riguarda, il Consiglio Regionale della Basilicata non è legittimato dal voto popolare, perché non ha raggiunto il quorum. Non lo dice la legge. Lo dice la mia coscienza. E finché questa ferita nella mia coscienza non sarà sanata, non andrò più a votare.

Tornerò a votare solo se verrà tolto il quorum ai referendum. Questo quorum, dopo il voto della Basilicata, è ormai solo il simbolo evidente di due pesi e due misure: quello di chi si candida, che se ne impipa di quanti siano andati a votare, purché ottenga una poltrona, e ti sbatte in faccia che essi sono i rappresentanti del popolo (di tutto il popolo, anche se li vota il 47,6% soltanto); e quello di noi elettori che non riusciamo ad ottenere di poterci battere alla pari, nei referendum, con i supporter dei partiti, cioè con quella ormai minoranza nel Paese che, per non far vincere i si, slealmente, unisce i propri minoritari non voti agli, ormai, maggioritari non voti di quanti li disprezzano talmente da non andare mai a votare.