di ALBERTO CISTERNA* -
Le parole di monsignor Galantino sulla condizione della politica in Italia («un puzzle di ambizioni personali all’interno di un piccolo harem di cooptati e di furbi») non smettono di risuonare nelle cronache e nella coscienza del paese.
E’ il Segretario generale della Conferenza episcopale, ma resta anche il vescovo emerito di Cassano allo Jonio. Ed è difficile immaginare che queste parole aspre non siano alimentate anche dalla sua esperienza di vescovo in Calabria (il suo primo incarico dal 2012 al 2015).
Il fallimento della politica in Calabria, e nel Sud in generale, e la radicata sfiducia verso la sua capacità di gestire gli interessi generali delle comunità sono una componente non secondaria di quello che questo giornale ha definito il “Teorema Mezzogiorno” (TM). Teorema di cui è parte fondamentale la convinzione che le classi dirigenti del Sud non siano in grado di assicurare lo sviluppo di quelle popolazioni e l’incremento del loro tasso di benessere. Sfido chiunque a negare che, all’udire le parole di Galantino, non abbia pensato ad un preciso nugolo di parassiti e parassite che sono entrati nel sistema di potere in Calabria e ne godono immeritati benefici.
L’idea messa in circolo è che la Chiesa abbia inteso, con questa dura sortita, dichiarare guerra alla politica e alle sue sempre più deboli istituzioni, improvvisamente convinta di poter imporre ad un popolo sempre più secolarizzato e smarrito la nuova visione cristologica e pauperistica di papa Francesco .
Certo il prossimo Sinodo e, soprattutto, il Giubileo e la Giornata mondiale della gioventù di Cracovia (luglio 2016) daranno la misura del reale radicamento del nuovo corso pietrino nella società ed in quella italiana in particolare. Ma sarebbe un errore grave sospettare, come fa’ taluno, che la Chiesa voglia riportare indietro l’orologio della storia e supplire alla leadership debole della politica nazionale con la riedizione improvvida di un potere temporale modernizzato sotto le spoglie dell’influenza mediatica e della moral suasion.
Lo stesso monsignor Galantino nella prolusione trentina alla Fondazione De Gasperi, che questo giornale ha meritoriamente pubblicato, ha ricordato l’insostituibilità della politica e del suo ruolo decisivo ai fini della «ricostruzione» della società: «Ricostruire, invece, è cosa diversa. È un evento che si realizza sulla spinta di una concentrazione di virtù, di passioni e di intelligenza che va preparata e che si manifesta solo a certe condizioni. Soprattutto è un passaggio che richiede sempre grandi uomini, figure capaci di interpretare il proprio tempo con quella tenacia che non proviene dall’aver frequentato le migliori scuole, le migliori sagrestie o dall’aver imparato tutte le astuzie della politica nelle segreterie dei partiti. Ci vuole altro... La politica come ordine della carità è un’impresa difficile eppure necessaria, un’esperienza del limite che il cristiano può comprendere come anticamera della salvezza».
Come si vede nessuna spinta verso l’antipolitica demagogica, nessun progetto di egemonia culturale, ma l’affermazione netta che la primazia della politica non può fondarsi su consorterie e gruppuscoli votati al mercimonio ed al servilismo. Naturalmente la questione non riguarda solo la politica-istituzione. Ma, come ha ricordato Sabino Cassese sulla prima pagina del Corriere della sera parlando di giustizia, coinvolge anche altre istituzioni in cui la vocazione all’harem di «cooptati e di furbi» si esprime con identica virulenza e sistematicità.
Da questo punto di vista la Calabria ha ancora un’occasione per tracciare una via laica di rinnovamento e di ricostruzione a partire da un patto limpido tra classi dirigenti e società civile. Nessuno può attendersi che, come un tempo, la politica dispensi risorse che non ha e assicuri un avvenire di cui non dispone in alcun modo. Mentre è lecito sperare che si dia spazio ai giovani nelle stanze del potere istituzionale ed economico, rinnovando dal punto di vista generazionale dirigenti, imprenditori, quadri delle associazioni di categoria.
La “legalità generazionale”, ossia il diritto dei giovani di non vedersi consegnato un deserto dai propri genitori, comporta un rapido passaggio di consegne dal vecchio al nuovo. Non è realistico immaginare che la «ricostruzione» del paese che la Chiesa, ed ogni uomo retto, auspicano sia portata a compimento da chi è stato parte, anche involontaria, di un sistema ormai finito e che per sopravvivere è giunto finanche a fatturare tazzine di caffè e mutande. L’unico gesto generoso è soccombere e cedere il passo, prima che la vera antipolitica (persino quella della mafia) si impadronisca delle coscienze dei calabresi e spogli, così, la società di ogni speranza, finanche di quella che - in modo apprezzabile - movimenti politici più radicali cercano di prospettare.
*magistrato