La storia del bello e del buono che si vuole fare ancora più bello è ben rappresentata dal cannolo siciliano
Chiudete gli occhi e assaggiate.
Addentando al buio qualunque pietanza la percepirete in modo diverso, sublimando l’esperienza gustativa, e le vostre papille diventeranno, aiutate dal vostro epitelio olfattivo, assolute portatrici di emozioni e ricordi che quel cibo vi evocherà.
Le consistenze potranno dirottarvi su percorsi onirico-gustativi nuovi e produrre associazioni sensoriali alle quali, contemplando il cibo prima dell’assaggio, mai potreste pervenire.
Ma le cene al buio sono roba datata, una tendenza che andava di moda fino a qualche anno fa, adesso, nell’era della Visual Culture e degli idolatrati Instagrammers, dove anche il cibo di plastica se è bello è diventato buono, siamo arrivati alla sintesi e all’apoteosi di quella che i greci definivano kalokagathìa, dove ciò che è bello (kalòs) arriva necessariamente a coincidere con ciò che è buono (agathòs).
Vero è che si mangia anche con gli occhi, ma il saper disporre con grazia e attenzione ingredienti, decori più o meno commestibili e fiori eduli in formati discutibili, mai potrà sostituire la grazia con cui le nostre nonne versavano una minestra di lenticchie nella fondina, non prestando neppure troppa attenzione all’equilibrio cromatico del piatto e neppure ponendosi il problema di improvvisare decori che andassero oltre una spolverata di prezzemolo tritato.
Eppure quel piatto di minestra sembrava bello lo stesso. E ai nostri occhi assuefatti a mousse di mortadella e aria di peperone, a destrutturazioni di ricette tradizionali che sfidano le leggi di fisica e gravità, un piatto aromatizzato con sana concretezza casalinga e amore per chi lo mangia e non per chi lo guarda, sembra bello davvero anche oggi.
La storia del bello e del buono che si vuole fare ancora più bello è ben rappresentata dal cannolo siciliano: dopo averlo scomposto, aperto, vivisezionato e collocato nella sua versione non originale nella lista dei desserts di centinaia di ristoranti, ci siamo resi conto che con la sua forma cilindrica e la sua texture irregolare, fatta di bolle, di fritto ben asciutto e di inconfondibili sentori di ricotta genuina intervallati a qualche candito e qualche goccia di cioccolato, è proprio bello così com’è e difficilmente dargli diversa forma per renderlo più elegante consentirebbe di conservarne la bontà data dalla commistione, in un unico morso, di vellutato e di croccante. Ma, siccome abbiamo appena ultimato le scorze di arancia candita e in freezer fa capolino un insolito gelato alla ricotta, oggi faremo i temerari ribaltatori di tradizioni anche noi: improvvisando un croccante di caramello e frutta secca, che otterremo unendo 100 grammi di farina, 40 di burro, 50 millilitri d’acqua, qualche mandorla tritata e zucchero in quantità letali per diabetici (200 grammi dovrebbero bastare); stendiamo un fine strato del composto su una placca rivestita con carta forno e mettiamo a cuocere a 180°C finchè la tegolina si sarà colorata.
A questo punto componiamo il piatto intervallando una quenelle di gelato, qualche scorza di arancia candita e un pezzetto del nostro croccante, ripetiamo la sequenza degli ingredienti e per guarnire usiamo del pistacchio siciliano tostato, per ricordarci che stiamo azzardando variazioni ad un pilastro della pasticceria trinacria, et voilà scattiamo subito una foto prima che il gelato si sciolga, lavoriamola con Photoshop, usiamo colori vivi e luci forti per stimolare i like, postiamola su più social possibili, poi riponiamo il piatto in freezer e corriamo in pasticceria a mangiarci un cannolo che sappia di cannolo davvero.