L'INTERVENTO. Europei: bene la squadra ma sul black lives Matter ... i soliti italiani

L'INTERVENTO. Europei: bene la squadra ma sul black lives Matter ... i soliti italiani

italia galles

Lo so, sforzarsi di essere obiettivi, di guardare le cose per quel che sono, tentando di non farsi influenzare dalle proprie convinzioni, dai propri bias – come usa dire - è difficile. È difficile specialmente oggi, quando il tifo acritico, con la benda agli occhi, si è trasferito “paro paro” dalle curve degli stadi alla politica, alla (pseudo)scienza dei tuttologi da tastiera. Per quanto mi riguarda, però, ho sempre provato a guardarmi intorno con uno sguardo filtrato attraverso la laicità e il dubbio. Sarà per questo che, pur ritenendo fortunato chi ha una fede religiosa, chi in essa recupera un rifugio nel quale trovare conforto nei momenti bui e certezze in un mare di incertezza, sono sempre stato ateo. Sarà per questo che non ho mai avuto un’appartenenza partitica - non politica, ché sui valori e i principi non ho mai sofferto titubanze di alcun genere – “a prescindere”, “senza se e senza ma”. Allo stesso modo, non ho mai, se non da bambino, avuto una fede calcistica ferma. Non sono un tifoso. Non sono capace di considerare il calcio, lo sport che amo più degli altri, guardando solo al rettangolo di gioco. Per questo motivo non sono capace di gioire per i successi della Reggina, sapendo chi sia e cosa abbia fatto il suo presidente, osannato fino a conferirgli la cittadinanza onoraria!

Questa lunga premessa mi occorre per esprimere compiutamente il mio pensiero sulla vicenda della quale si è resa protagonista la nazionale. Fino a qualche giorno fa, per quanto mi riguarda, una realtà quasi perfetta: il bel gioco; il gruppo; il direttore d’orchestra bravo in campo e fuori; l’orgoglio. Tutte tessere di un puzzle che l’hanno resa simpatica, oltre che vincente. Dopo la disfatta della mancata qualificazione ai mondiali, seguita dalla meschina presa di posizione dell’ex ct – chi se lo sarebbe mai aspettato, da uno come Ventura? – sulle dimissioni e la buonuscita, l’Italia intera ha seguito la nazionale con sempre maggiore simpatia e partecipazione. Che viene da dire: quale assurdo ragionamento può aver spinto la federazione e la squadra verso un atteggiamento così bizzarro e così palesemente sbagliato?

Io sono portato a pensare che ci sia stato qualcuno, nella squadra o nel suo entourage, non tanto convinto sul tema del contrasto al razzismo. Diciamo un “razzista col ma” (avete presente? Non sono razzista, ma…) il cui atteggiamento esitante ha indirizzato tutti gli altri, in virtù della spasmodica ricerca dell’unanimità, verso la nota posizione “ci inginocchiamo se lo fa l’altra squadra”. Ma che significa? Nella migliore delle ipotesi, che il Girone degli ignavi, nell’Antinferno di Dante, dove sta “colui che per viltate fece il gran rifiuto” come Ponzio Pilato, è oggi pieno di maglie azzurre. Delle maglie azzurre di chi si è accodato, forse non riflettendo abbastanza sull’importanza della campagna Black lives matter, sulla necessità di superare qualche legittima perplessità – al limite – sul conformismo di certe posizioni.

Ma davanti a un flagello come il razzismo, chi può essere così limitato da concentrarsi sul conformismo? Veramente non si sa cosa augurarsi, se la scelleratezza sia stata determinata dai tentennamenti sul razzismo, o semplicemente dall’ignavia. Alla fine, la federazione e la squadra hanno scelto di non scegliere, il che, per buttarla in politica, mi fa andare con la mente ai tempi del doroteismo più spinto, la non - dottrina madre del non decidere mai, verrebbe da dire del “non decidere whatever it takes”. “Ci inginocchiamo se lo fanno gli altri”. Bravi, complimenti. Anche a Chiellini, il portavoce acculturato che confonde nazismo e razzismo. Applichiamo alle idee la tattica del contropiede e del catenaccio: aspettiamo i rivali nella nostra area, cerchiamo di non prenderle. Poi, se capita, attacchiamo. Non ci proponiamo con le nostre peculiarità, con la nostra classe, la nostra tecnica. Ecco. Ora che la nazionale sembra esprimersi sul campo privilegiando il gioco, cercando di imporlo agli avversari, ha scelto di compensare questa svolta epocale nei 90 minuti con una pessima tattica attendista prima del fischio iniziale dell’arbitro. In fondo, sempre italiani siamo.