LA TERRA e IL CLIMA. Evitare la catastrofe di cibo, acqua e salute

LA TERRA e IL CLIMA. Evitare la catastrofe di cibo, acqua e salute

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Era una mattina di Giugno molto fresca e piovosa a Milano, ventisette anni fa. Io e un paio di dozzine di uomini e donne salimmo su un autobus che impiegò l’intera mattinata per percorrere la Valtellina e poi inerpicarsi sull’interminabile serie di tornanti che da Bormio porta al passo delle Stelvio. Lassù, a oltre 2700 metri di altitudine, nevicava e dovetti precipitosamente tirare fuori dalla valigia il piumino. Due impianti di risalita e l’arrivo ai 3300 metri di quota del Rifugio Livrio. La neve cadeva fitta e continuò a cadere per tutta la notte.

Al mattino, dopo ore di sonno precario da repentina esposizione all’altitudine, la finestra della mia camera era blindata da decine di centimetri di neve fresca. Intorno a me cime candide e cielo azzurro intenso. Ci passai un’intera settimana, ore e ore di lezione di sci, sul ghiacciaio, spesso nella nebbia, tra fiocchi di neve e improvvisi, rari squarci di sereno. Nonostante fossimo in estate le condizioni ambientali e metereologiche erano severe e tipicamente invernali. Nulla di strano, al contrario la normalità nel mondo delle rocce e del ghiaccio.

Eppure già da anni si sentiva parlare con sempre maggiore frequenza di cambiamenti in atto nel clima alle varie latitudini del pianeta. Non era facile credervi, appena un paio di anni prima l’inverno in città era stato rigido, la neve era caduta copiosa più volte tra Gennaio e Marzo. Ma i segnali c’erano e gli esperti elaboravano previsioni spiacevoli per i decenni a venire.

Lester Brown, nota figura di ambientalista, nell’introduzione a State of the World 1989, il rapporto annuale sul pianeta del Worldwatch Institute, scriveva “…nel mese di Giugno la NASA ha messo in evidenza che le previsioni a lungo termine sul riscaldamento globale del nostro pianeta sembrano diventare realtà… Non solo si è verificato un graduale riscaldamento a lungo termine, secondo i modelli teorici dell’effetto serra, ma i cinque anni più caldi del secolo fanno tutti parte degli anni ’80…”

Le pagine successive sembrano scritte oggi, a testimoniare come nell’arco di tre decenni poco sia stato fatto di fronte a un fenomeno che sembra avere subito un’improvvisa, irreversibile accelerazione. Le immagini di questi giorni della webcam del Rifugio Livrio mostrano una distesa di ghiaccio sporco, crepacciato, sofferente. Dopo un inverno povero di neve. La Cima degli Spiriti che ricordo candida di neve mostra in buona parte roccia scoperta. Lo sci estivo è stato sospeso, non vi sono le condizioni per praticarlo.

I ghiacciai sono fondamentali indicatori climatici. E sono in agonia. Le iniziative dei governi sono timide e non risolutive, proiettate sul 2030 o sul 2050, troppo tardi. Le grandi economie non hanno alcun interesse a decarbonizzare.  Le aziende dei combustibili hanno già approvato enormi progetti per lo sfruttamento di nuovi giacimenti, che porteranno l'aumento delle temperature globali oltre tutti i limiti fissati dagli accordi internazionali.

Tecnicamente si chiamano "carbon bomb" per sottolinearne gli effetti catastrofici. Una discrasia evidente tra gli impegni assunti dai governi di importanti nazioni e la distrazione dei medesimi governi rispetto alle attività di potenti società petrolifere che operano in quelle stesse nazioni. L’estate 2022 non dovrà passare invano, l’opinione pubblica non potrà dimenticare il Po in secca, i campi inariditi, il Carso in fiamme, i 40 gradi di Londra e della Danimarca, la grandine grossa come palle da ping pong, un pezzo di Marmolada che collassa e precipita a valle, lo zero termico a 5000 metri, la corrente a getto ridotta a un refolo che cade davanti alle coste atlantiche europee, il tremendo calore del Sahara traslocato in modo permanente sul Mediterraneo. Cosa dovrà ancora accadere? Qualche giorno fa una scienziata ha scritto “…dobbiamo gestire l’inevitabile, dobbiamo evitare l’ingestibile…”. Ovvero evitare la catastrofe di cibo, acqua, salute.