Gli effetti del coronavirus sul sistema scolastico sono devastanti. Docenti, studenti e famiglie negli ultimi dodici mesi hanno perso, infatti, ogni certezza tra chiusure, sospensioni, casi sospetti e contact tracing. Il mondo della didattica si è adeguato con tante difficoltà e l’art. 34 della Costituzione ha vissuto uno autentico stravolgimento.
L’istruzione è veramente un fattore chiave per il benessere? Si investe abbastanza? E le fasce più deboli? Il tasso di occupazione dei laureati è più alto rispetto a quello di coloro che hanno un titolo di studio più basso, l’istruzione è anche associata a longevità e migliore stato di salute. In Italia, come in tutti i paesi europei, chi è più povero di competenze e di risorse si ammala più spesso e ha una speranza di vita più bassa, anche grazie a una maggiore attenzione tra i più istruiti a comportamenti salutari.
Il periodo storico ha reso evidente, a un anno dall’inizio della pandemia, l’inadeguatezza del Pil come unica misura del benessere di una popolazione e principale parametro da prendere in considerazione per le scelte politiche ed economiche da assumere. In questo senso il rapporto Bes (Benessere equo e solidale), pubblicato annualmente dall'Istat, illustra un quadro dei principali fenomeni economici, sociali e ambientali che caratterizzano il nostro Paese, attraverso l'analisi di un ampio set di indicatori suddivisi in 12 domini. Dalla sicurezza all’ambiente fino alla fruizione di attività culturali e la qualità dei servizi essenziali. Un’analisi scientifica di enorme valore che aiuta a conoscere le disuguaglianze e i bisogni dei territori.
Il rapporto Bes 2020, rilasciato nel mese di marzo 2021, fotografa da vicino la fase molto particolare della didattica a distanza, esplosa durante il lockdown anti-Covid, per cui è necessario avere a disposizione una buona connessione e un dispositivo elettronico per interagire con la scuola e gli insegnanti, ormai dunque un requisito indispensabile per l’accesso all’istruzione. Un laptop o un tablet e Internet, nel 2020, lo possedevano circa metà delle famiglie calabresi.
“L’impatto della didattica a distanza e della chiusura delle Scuole ha, quindi, inciso su una popolazione di studenti percorsa già da profonde disuguaglianze”, è scritto nel rapporto Istat.
La Dad si è scontrata con le difficoltà nelle competenze digitali della popolazione italiana: “Nel 2019, tra gli individui di 16-74 anni, soltanto il 22% degli italiani ha dichiarato di avere competenze digitali elevate (contro il 31% nella Ue27), cioè di essere in grado di svolgere diverse attività nei 4 domini dell’informazione, della comunicazione, nel problem solving e nella creazione di contenuti. La maggioranza degli individui è in possesso di competenze basse (32%) o di base (19%) e l’età rimane un fattore importante: i giovani di 20-24 anni hanno livelli avanzati di competenze nel 41,5% e i ragazzi di 16-19 anni nel 36,2% mentre la quota diminuisce all’aumentare dell’età e arriva al 20,3% tra le persone di 45-54 anni e al 4,4% tra le più anziane di 65-74 anni”.
Un fattore di notevole criticità emerge dai dati sull’abbandono scolastico che colpisce in maniera più accentuata i figli dei cittadini stranieri e che appare il tema più preoccupante. Nel secondo trimestre 2020, il 13,5% (16,9% nel mezzogiorno) dei giovani tra i 18 e i 24 anni in Italia risulta, in media, non iscritto a corsi di istruzione e formazione e con un titolo conseguito fermo alla licenza media: un dato importante che dipende dal background familiare e, dunque, dalle condizioni socio-economiche di partenza. La difficoltà di alcune ragazze e ragazzi a proseguire in maniera soddisfacente il percorso scolastico e formativo inizia all’interno della scuola e i livelli di competenza sono influenzati in maniera diseguale da alcune caratteristiche: genere, cittadinanza, condizione socioeconomica e culturale della famiglia. Le competenze inadeguate influenzano la scelta del percorso scolastico, l’apprendimento e la decisione di abbandonare la scuola.
Sul tema della istruzione l’Unione europea ha fissato per l’anno 2020 degli obiettivi specifici e ha inteso garantire, attraverso vari strumenti multilivello, il 95% di partecipazione dei bambini alle scuole materne, meno del 15% dei quindicenni con risultati insufficienti in lettura, matematica e scienze, meno del 10% dei giovani dai 18 ai 24 anni ad abbandonare gli studi o la formazione.
Chi ben comincia è a metà dell’opera? L’inserimento dei bambini da 0 a 2 anni nei servizi dedicati alla prima infanzia è la base di ogni apprendimento successivo, con effetti positivi sulle abilità comportamentali e sull’alleggerimento del carico di lavoro familiare, gestito soprattutto dalle donne. I dati sui bambini iscritti al nido in Calabria evidenziano forti disparità con le altre regioni italiane e anche la spesa (pro-capite) nei grandi Comuni del Sud per i servizi di prima infanzia risulta bassa, come segnalato recentemente da un’indagine della fondazione Openpolis. Sulla partecipazione al sistema scolastico dei bambini più grandi, 4-5 anni, invece va meglio: il 97,1% dei calabresi di questa età frequenta una scuola d’infanzia o primaria. La media nazionale si attesta al 94,8%.