L’INTERVISTA. Giovanni Malara: quel che resta di Freud a 80 anni dalla scomparsa

L’INTERVISTA. Giovanni Malara: quel che resta di Freud a 80 anni dalla scomparsa

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Sono trascorsi 80 anni dalla morte del fondatore della psicanalisi. I cambiamenti individuali e sociali sono stati così veloci, da costringerci a interrogarci sull’attualità del pensiero di Freud. Lo facciamo con Giovanni Malara, psichiatra umanista, medico che non ha mai smarrito l’importanza della relazione con il paziente e che per molti anni è stato in trincea, con un incarico di responsabilità nel Servizio di Psichiatria degli Ospedali Riuniti di Reggio. A lui chiediamo quanto c’è ancora di vivo del pensiero di Freud.

"C’è moltissimo. Ma prima vorrei allargare l’attenzione su quanto è accaduto nel corso del Secolo breve, come lo chiamò Hobsbawm, con riferimento ai mutamenti che, dal punto di vista culturale, sono stati drammatici. Con Marx, Nietzsche e Freud, certi capisaldi della cultura occidentale si sono frammentati in modo definitivo. La morte di Dio, la crisi dell’io, la messa in discussione della pace sociale con l’arrivo della lotta di classe, si sono legati in modo potente innescando cambiamenti profondi. Freud non avrebbe avuto terreno fertile senza Nietzsche. Forse non ci sarebbe neanche stato. Il modo di pensare a noi stessi come individui in una società in progressivo mutamento non sarebbe stata così intensamente divaricante di tante antiche certezze. Tutto questo ha spinto a metterci in discussione rispetto al prima. La divaricazione potentissima che Freud ha proposto coincide con la scoperta dell’inconscio. La crisi dell’io, che nella razionalità illuminista continuava ad essere il direttore della vita psichica è la scoperta di uno sconosciuto che alberga dentro di noi, ed ha rimesso in discussione tutto il nostro modo di concepirci. Tra le due guerre, cambiano i criteri dell’antropologia: da una visione eurocentrica ad una antropologia critica, che si pone la questione dell’alterità con maggiore rispetto. Da allora in poi, non solo la psichiatria e la psicologia, ma la cultura in generale - letteratura, cinema, produzione artistica – hanno dovuto misurarsi con una nuova lettura della realtà individuale e sociale".

Oggi pare di assistere ad un riflusso rispetto a questa apertura all’alterità, nel quale si annida la paura dell’altro.
"Su queste particolari modalità pseudodifensive di concepire la relazione con lo straniero, la psicanalisi dice la sua. I meccanismi di difesa non sono solo individuali. La paura dell’altro, del diverso, è legata a forze arcaiche. Ma non siamo solo natura, siamo anche cultura. Significa che le spinte più grossolane che emergono e fanno da sostrato ai nostri comportamenti dovrebbero essere adeguatamente vagliate. Quello che stupisce e allarma è che, invece, talvolta vengono cavalcate in maniera grezza".

Nell’assoluto silenzio di un’altra parte che dovrebbe essere depositaria di umanesimo e civiltà anche grazie all’humus ereditato dalla psicanalisi. Le chiedo: siamo alla barbarie o c’è qualche spiraglio?
"Non si è tutto perso, nello specifico della psicanalisi, che almeno nel sogno di Freud, doveva diventare una scienza assimilabile alle altre scienze galileiane. Scienza finalizzata alla terapia, poi diventata una visione del mondo, perché è stata uno strumento potente d’indagine, adeguato allo spirito dei tempi. Con il modello freudiano siamo ben lontani da una lettura matematica o causalista dei fenomeni del comportamento. Quella freudiana è principalmente una metapsicologia. Oggi, chi fa le neuroscienze, pur cercando nel cervello le localizzazioni, è costretto a riconoscere che la consapevolezza non è il primato. La gran parte della vita psichica non affiora a livello della coscienza".

E’ quindi importante oggi applicare la psicanalisi nei conflitti e nei rapporti? Penso, per esempio, alle relazioni tra uomo e donne che si sono complicati e inaspriti.
"Sono abbastanza convinto che dei grandi ideali del 68 e dintorni non è rimasto moltissimo. E’ rimasto molto nel movimento femminista e nel movimento di liberazione dei neri in America. Questo la dice lunga sul ritardo che stiamo accumulando".

C’è un rigurgito di aggressività e di violenza dell’uomo sulla donna ed un black out nella comunicazione tra i sessi?
"Sì. E’ la confusione che nasce da un sovraccarico di input. Troppe cose insieme, come se non fossimo ancora pronti a lavorare in una forma di multitasking efficace. Alcune situazioni le gestiamo male. Da altre emergono aspetti non brillanti e non maturi della nostra personalità. Freud utilizzava con attenzione l’analisi dei sogni, ma anche l’analisi del gesto mancato, o del motto di spirito. In tante espressioni correnti del maschio evoluto, invece, emerge quasi la nostalgia di una posizione di sicurezza, primitiva".

Tutto questo si inserisce anche nel difetto di fiducia nella psicoterapia, come se fosse qualcosa di riservato solo ai casi più gravi?
"Certe volte dallo psicologo si vada con troppa leggerezza. E’ il tentativo di delegare all’altro una gestione tecnica del disagio.  Invece, nella gestione e soluzione dei problemi ognuno di noi dovrebbe assegnarsi il tempo necessario, con responsabilità e pazienza. Andare dallo psicologo perché ragazzi e ragazzini hanno difficoltà con gli studi o i compiti o perché si litiga con la moglie, è qualcosa che richiederebbe una riflessione più adeguata. E’ vero anche il contrario. Ad esempio: nella relazione di coppia, non bisogna mai sottovalutare la rabbia non gestita, aggressività e violenza che possono avere esiti drammatici. Di fronte a difficoltà non gestibili con la buona volontà, si dice spesso: “ma che vai  a fare”, “si risolverà con il passare tempo”. Questa è un’altra distorsione del mondo occidentale, come se il tempo del futuro fosse automaticamente il tempo della riparazione. Non è così. Il tempo produce quello che noi nelle premesse abbiamo costituito. Le cose non si aggiustano da sole. Può accadere nel dramma shakespeariano, nel Sogno di una notte di mezz’estate, ma è molto raro".

In principio era Freud, poi Jung, Adler e altri. Fu frammentazione negativa o ricchezza?
"In realtà non c’è soltanto il pensiero psicanalitico ortodosso o eterodosso. Jung avrebbe dovuto essere l’erede, si è poi scisso dalla pianta madre perché l’accento sulla sessualità era troppo marcato. Adler, più legato all’analisi del potere prese un’altra strada.  Intanto   altre cose avvenivano, a partire dagli sviluppi filosofici. Penso a Schopenauer o a Leopardi filosofo. Inoltre vi fu l’irruzione della fenomenologia e dell’esistenzialismo come strumenti potenti di avvicinamento all’altro. Tutto questo ha rappresentato la forma matriciale  di apprendimento del mestiere per gli psichiatri della mia età".