«L’Aspromonte (…) aspro, ostile, lo è per chi non lo conosce, per i forestieri, per quelli che nel passare dei secoli sono venuti a conquistarlo. Per loro è sempre stato, ed è rimasto, asper, inospitale. Per chi lo ama, per i suoi figli, la montagna ha il significato opposti, aspru: bianca, lucente, ospitale, è Mana Gi, la grande madre che i pastori scolpiscono come una mammella sui collari di legno di gelso delle capre e delle pecore.»
La grande montagna del reggino è la protagonista de L’ultimo drago di Aspromonte, testo di Gioacchino Criaco e disegni in bianco e nero di Vicenzo Filosa, pubblicato da Rizzoli Lizard. Nì, già bambino difficile e poi ragazzo tossicodipendente, viene affidato ad una locale comunità di recupero, ma vi si ritira a vivere, da solo, in una piccola abitazione immersa nella vastità di quel luogo selvaggio e, insieme, accogliente: che si fa, per lui, casa e famiglia. Nì diventa esploratore dell’ambiente e di se stesso, amico degli animali e delle piante, dei ruscelli e dei dirupi. Parla con il porco e con il capro, come con i pomodori e le zucchine del suo piccolo orto. Ha pochi contatti umani, l’impiegato delle poste, la signora del locale dove c’è il telefono da dove chiamare la madre, qualche pastore: persone di cui scoprirà le tragiche vicende alle spalle. Mangia, quasi sempre da solo, raramente in compagnia, cibi molto semplici, spesso solo pasta in bianco. Si riscopre natura dentro di lui e insieme alla natura che lo circonda e trova, tra alti e bassi, un nuovo equilibrio.
La scrittura di Criaco – che, nei testi più noti, spesso lucidamente alterna la durezza della realtà con la magia della favola – si snoda, qui, leggera e precisa in una sospesa dimensione fiabesca che non disdegna, in filigrana, tracce di realtà. Tanto che il libro potrebbe, forse, diventare metafora di una Calabria che, per trovare un equilibrio che le faccia superare antiche difficoltà, deve ritrovare il legame profondo, ancestrale, con quel suo nucleo forte – apparente inferno e possibile paradiso – che è l’Aspromonte. Territorio di chi sconta antiche colpe ed è, ormai, innocente e dove i draghi «sono creature buone e gentili, nonostante il loro aspetto.» Abitato da un popolo che resta «un popolo d’Avvento», con nel profondo un desiderio di riscatto e di rinascita.
Una favola bella, che travalica i confini della regione, particolarmente adatta al più imprevedibile dei Natale che stiamo per vivere. Resa ancora più evocativa dalle tavole di Filosa, che non accompagnano lo scritto, ma ne sono parte integrante.
Gioacchino Criaco- Vincenzo Filosa, L’ultimo drago d'Aspromonte, Rizzoli Lizard, pp.188, euro 18