Quali furono le originarie intenzioni di Michail Gorbačëv nel suo progetto per la perestrojka? E quali sono stati gli effetti diretti della politica dell’ultimo segretario generale del partito comunista sovietico tra il 1985 e il 1990? Sono queste le domande a cui cerca di rispondere il libro di Andrea Borelli, assegnista di ricerca dell’Università della Calabria, già studente del Liceo Classico “Galluppi” di Catanzaro, pubblicato per i tipi di Viella, con il sostegno della Fondazione Gramsci e della Fondazione Imes Catanzaro, dal titolo “Gorbačëv e la riunificazione della Germania”.
Borelli ha svolto un lavoro di indagine in Russia, consultando archivi, giornali e documenti dell’epoca. La prospettiva attraverso cui il ricercatore analizza la politica di Gorbačëv è quella della riunificazione tedesca, obiettivo a cui il segretario del Pcus guardava, sostiene Borelli, con particolare attenzione. La ricerca è raccontata in un libro di scorrevole lettura, articolato in tre capitoli, oltre le conclusioni. Ognuno di essi si concentra su un biennio preciso: 1985-1986, 1987-1988, 1989-1990.
Nel primo è ripercorsa la fase iniziale delle riforme di Gorbačëv, quando il nuovo gruppo dirigente sovietico si rende conto della necessità di un cambiamento non rinviabile nella struttura dello stato, gravato da un apparato di retaggio staliniano piuttosto inadeguato; il secondo sull’introduzione nel dibattito politico, da parte di Gorbačëv, del tema della “Casa comune europea”, lanciato agli alleati del Patto di Varsavia, tratto probabilmente - secondo Borelli - nientemeno che da De Gaulle; il terzo si sofferma, invece, sul processo di riunificazione delle due Germanie. Oltre a Gorbačëv, si può dire, l’altro protagonista del libro è il leader comunista della Repubblica Democratica Tedesca, Erich Honecker.
Tra i due si approfondisce sempre più un solco che separa i riformisti, alla Gorbačëv, e i conservatori come Honecker, con il primo che trova nel cancelliere della Germania federale, Helmut Kohl, un interlocutore decisivo, mentre il secondo, conscio dei rischi della politica del Cremlino, restava contrario alla fusione con Bonn, convinto che l’economia socialista fosse ancora in grado di affrontare le sfide della modernità. Borelli esprime il suo giudizio sulla politica di Gorbačëv, che trova ambigua e non completamente orientata ad un approdo certo, quasi come se si andasse dritti verso un salto nel vuoto, demolendo decenni di storia del socialismo reale, mentre invocava un generico pluralismo non ben definito. Eppure, il segretario generale sovietico - rimarca il ricercatore - rimase sempre convinto di portare avanti un’opera riformatrice da comunista, nell’ambito della tradizione del marxismo-leninismo, non rinnegando la storia dell’Unione Sovietica, quanto piuttosto cercando di rilanciarla, liberandola delle incrostazioni di matrice staliniana e dal peso di un impero militare non più sostenibile economicamente.
Come si sa, la linea dei conservatori alla Honecker venne battuta e rapidamente, nell’ultimo biennio, la situazione precipitò, portando alla riunificazione tedesca e alla contemporanea sparizione dell’Unione Sovietica. Gorbačëv, quindi, non arrivò a compiere l’obiettivo di riforma dell’URSS che si era prefissato ma, al contrario, ne accelerò l’implosione. L’obiettivo riuscito, invece, fu quello di portare alla caduta del muro di Berlino e alla nuova Germania riunificata, esito che garantì al segretario del Pcus una notevole popolarità in Occidente.
Nel testo sono molte le voci che emergono sullo sfondo del confronto tra Gorbačëv e Honecker, come quelle dei leader degli altri paesi dell’orbita sovietica, dei decisivi consiglieri e analisti che supportarono il segretario del Pcus, dei protagonisti della politica occidentale come Reagan, Thatcher, Mitterand, ma anche il Partito Comunista Italiano. Una ricerca che si snoda, dunque, soprattutto tra le pieghe dell’apparato politico di massimo livello degli anni Ottanta.
Il contributo di Borelli, in questo ambito, è significativo e aggiunge elementi e spunti ad una riflessione necessaria, oggi, specie se si guarda ai paesi dell’est europeo sempre più in allontanamento dall’ovest a cui si erano riavvicinati trent’anni fa, vedi Ungheria, Polonia e altri.
Non sarebbe male se a questa ricerca si affiancassero - magari in un successivo lavoro - anche le voci e le esigenze che si levavano dalla società dei paesi sovietici, a partire dai giovani che guardavano al benessere e alla modernità che spirava da ovest, a cui Borelli pure accenna. Un interrogativo che sarebbe opportuno porsi, per fare i conti con la Storia, potrebbe essere: ma era davvero tutto da buttare quanto si è teorizzato e praticato in settant’anni di comunismo (sanità, industria, agricoltura, istruzione)? Le risposte possibili potrebbero aiutarci a soppesare anche gli effetti degenerativi di un capitalismo liberista uscito vincitore dopo il 1989 senza più un avversario sul campo e che, seppure nell’alveo delle democrazie rappresentative, ha mostrato, però, specie negli ultimi quindici anni, il suo volto peggiore, lasciando ampio spazio a disuguaglianze crescenti e non più tollerabili.
*dottore di ricerca in Storia