Il protagonista de L’odore dell’arrivo ha due desideri: la pubblicazione di un libro, un romanzo che “potrebbe somigliare a un memoir narrativo o a uno spartito per romanzo” e l’acquisto di una casa in Sila, “in quello che è stato il mio luogo del cuore da sempre”. Due desideri, dice, “molto diversi tra loro e per me entrambi importanti”.
Gianluca Veltri – che firma per Ferrari editore un libro scritto in prima persona precisando che non si tratta di autobiografia ma di rielaborazioni, riadattamenti e invenzioni “in un contesto che è, e intende essere, esclusivamente letterario” – sa bene che i due desideri sono in realtà un unico afflato, l’aria di cui il suo innominato protagonista ha bisogno.
Uno spazio, quella casa, che ne contenga i giorni – il suo presente, il suo passato, il passato di chi lo ha generato e il futuro che verrà con i suoi figli – e un tempo, quel libro, in cui si intersechino, distinti eppure non separati, uniti ma non confusi, tutti gli aspetti del suo mondo interiore. Mondo che si allarga ben al di là dei pur meravigliosi e amatissimi boschi della Sila e degli affetti di famiglia, il nonno che lo porta a mangiare il pesce a Taranto, il padre che insegna da marzo a novembre, facendo a piedi chilometri tra i paesi della Sila, “granitico, austero, impermeabile”, “artefice dell’emancipazione e del futuro di tante generazioni” “in quegli avamposti ghiacciati e chiusi come contrade siberiane”, e la madre, “cittadina e inesperta” che, con la sua sorridente cortesia, la grazia e la poesia del suo cuore, “conquistò le vicine che la accolsero calorosamente.”
Nel sentimento – in quell’intreccio di pensieri ed emozioni che costituisce il continuo dialogo con se stesso del protagonista di L’odore dell’arrivo – i fatti importanti, gli snodi dell’infanzia, dell’adolescenza e della maturità, la morte del nonno, la prima caduta in bici, il primo bacio, lo sguardo d’intesa con la moglie e l’affacciarsi al mare della figlia, sono ritmati, oltre che dai grandi eventi internazionali, dai mondiali di calcio e dalle partite della Coppa Davis. E punteggiati, anche per i suoi amici più stretti, soprattutto da musiche e cantanti. “Le canzoni che ascoltavamo ci rappresentavano in modo completo, esclusivo. Erano canzoni – così come i libri, e i film e i quadri, e i divani, e le case, e i viaggi – diverse e separate, rispetto alla musica che si ascoltava in giro casualmente. Speciali. Scelte. Nostre.”
Nella musica si attua quell’ideale commistione tra i boschi silani e la Londra, negli anni Settanta centro culturale del mondo, che, radicando nella sua terra il protagonista, ne fa cittadino del mondo.
Ascoltando alcuni dischi “avevo la netta impressione che stesse parlando proprio a me; mi costringeva a percepire me stesso nel flusso degli eventi, con il cuore palpitante. Non c’era più dentro e fuori: eri nella tua stanza, ma in realtà in una piazza, eri a Saigon, a Bologna, nella tua piccola città, sull’altopiano, non avvertivi più la vita separata da quella degli altri, ma tanti destini fremere all’unisono. Quello iato macchinoso, tra le notizie del mondo ufficiale e le segrete parole che nascevano nel petto, era sparito. Apparteneva tutto allo stesso universo.”
C’è molta cultura nel libro di Gianluca Veltri, di quella interiorizzata tanto da non necessitare uno sfoggio. E tanta nostalgia. Per il tempo che sfugge, certo, perché la vita si può spezzare in ogni istante. Ma non è la nostalgia che rimpiange il passato, bensì quella capace di restituire bellezza. Che è la bellezza dei luoghi – bellissime tutte le pagine sulla Sila, straordinarie quelle del capitolo dedicato alla Transumanza – e, soprattutto, quella del dialogo costante con se stesso, che gli impedisce, anche nei momenti più difficili, di disperdersi: “Cercavo un significato in più. Qualcosa che resta nel tutto che passa. Avevo bisogno di risposte per tracciare la mappa e il senso dell’esistenza. (…) Avvertivo come necessaria, persino doverosa, l’ansia di capitalizzare la bellezza dell’esistenza per ricavarne un bene più duraturo.” Un obiettivo, nonostante i dolori e le perdite, raggiunto: “Pensavamo che quello in cui credevamo avrebbe convinto tutti, che il nostro guscio fosse il mondo e che il mondo fosse il nostro guscio, senza soluzione di continuità. Senza stridori. Non eravamo i candidati ideali per una vita tranquillizzante. Io, più o meno, a modo mio, ho mantenuto le premesse.”
Gianluca Veltri L’odore dell’arrivo, Ferrari editore, pp. 154, euro 16
Post fazione di Dario Brunori