I musei, la modernità, Gramsci e Benjamin

I musei, la modernità, Gramsci e Benjamin

WB

Il museo in quanto spazio di dimensione pubblica è una conquista dell’età moderna ed è espressione sia del concetto di fruizione collettiva dell’opera d’arte che del cambiamento delle pratiche espositive.

Grazie a Flavia Sorato che ha condotto un puntuale excursus storico in materia è possibile punteggiare quanto asserito da Gramsci, per meglio intenderne il pensiero riportato in un inedito oggi venuto alla luce:

“Americanarsi
Credo che il torto dell’età moderna sia di avere disgiunto l’arte e la bellezza dalla vita comune, di aver relegato tutte le più belle espressioni del sentimento artistico nei Musei e nelle Gallerie… Si permise che il popolo imbarbarisse in una ributtante volgarità, che s’infiltrasse la convinzione che noi moderni, pratici e spregiudicati, dobbiamo disprezzare tutto ciò che non interessa il nostro utile immediato; avvenne, se si potesse così dire, l’americanarsi della vecchia Europa.”

La Sorato ci ricorda che fino al 1700 le collezioni reali e della nobiltà terriera erano private, ma con Diderot comincia ad affermarsi l’idea di uno spazio destinato non solo all’artista e ai ceti più elevati della società ma a tutti coloro  che vogliano istruirsi, beneficiarne: « … luoghi in cui i possessori consentano l’ingresso non soltanto agli artisti ma a tutti quelli che vogliano realmente istruirsi, senza eccezione di condizione; le collezioni, dunque, nelle quali si raccolgono e si accostano, seguendo una sorta di metodo, le opere belle, divengono infine per le arti e per la Nazione delle scuole nelle quali gli amatori d’arte possono apprendere nozioni, gli artisti fare utili osservazioni e il pubblico ricevere alcune prime idee giuste».

In molte città europee intorno agli inizi dell’Ottocento vengono così aperte collezioni e nascono musei: a Londra il British Museum, in Germania il Fridericianum. Successivamente, a Roma nascono i Musei Capitolini e quindi numerose Pinacoteche e i Palazzi Vaticani.

Le conquiste sociali e gli sconvolgimenti politici della Rivoluzione Francese segnano in ogni caso il punto decisivo: il campo dell’arte viene così sottratto alla fruizione privata ed è indirizzato alla ricezione pubblica (il caso del Louvre è in tal senso esemplare).

Fino ad arrivare alla prima metà del XIX secolo quando si affaccia il mercato privato dell’arte. Le opere artistiche sono sempre più considerate come merci, similmente ad altri prodotti che si muovono sul mercato internazionale, e le vetrine privilegiate di questi lavori sono le Esposizioni Universali: “L’Esposizione Universale di Parigi del 1900 decreta un grande successo di pubblico -i visitatori ammontano a cinquanta milioni-, richiamato non solo dai prodotti del progresso industriale ma soprattutto dagli spettacolari apparati temporanei, dallo sfarzo delle luci elettriche e dalla comparsa di uno dei più grandi fenomeni culturali e d’intrattenimento della contemporaneità: il cinema.

Ritornando alle parole di Gramsci forse a questo punto si riesce a cogliere il senso politico e antropologico del grande pensatore, che indirizza le sue parole verso un modello di società consumistico e improntato a un sistema valoriale di cui già si intravedevano rischi e limiti. Quanto alle opere d’arte Walter Benjamin avrebbe scritto fra il 1935 e il 1940 parole di eccezionale acutezza e lungimiranza con L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica.